Lunghe code per il “decreto flussi”. Se manca una vera politica per l'immigrazione…
L’atteso “decreto flussi 2006”, per quanto da tempo preannunciato e preparato, ha mostrato tutti i segni di una politica dell’immigrazione per nulla rispondente alla realtà.
Sono stati messi a disposizione dalle Poste Italiane, con significativo anticipo, oltre un milione e mezzo di kit affinché datori di lavoro (tra cui tante famiglie) potessero compilarli con attenzione e tranquillità: i kit sono andati a ruba a tal punto che per ottenerne uno qualcuno ha anche dovuto acquistarlo da qualche “bagarino”. Ricordiamo a margine che il decreto prevede che siano i datori di lavoro a produrre domanda nominativa di ammissione in Italia di lavoratori stranieri residenti all’estero. Solo se la domanda viene accettata dalle autorità italiane il lavoratore straniero riceverà, tramite la Rappresentanza diplomatica italiana nel suo Paese, il visto di entrata in Italia.
Considerata però la complessità della compilazione, vari datori di lavoro hanno chiesto aiuto anche ai Patronati Acli, che hanno seguito centinaia di persone, entrando così nell’ottica della convenzione che il ministero dell’Interno ha sottoscritto proprio con i Patronati e che prevede la collaborazione con questure e enti locali nel disbrigo di pratiche in materia di immigrazione e la cui competenza sarà trasferita, nei prossimi tempi, ai Comuni.
Certo è che se questa convenzione fosse stata adottata ufficialmente anche per questo evento, si sarebbero potuti evitare tanti intoppi e tante speculazioni.
Il giorno della presentazione delle domande, il 14 febbraio, sono state presentate circa 500.000 domande. La maggior parte di coloro che si sono presentati alle Poste, mettendosi in fila già dal pomeriggio precedente, erano stranieri, e quasi certamente i medesimi che avrebbero usufruito della richiesta. Erano cioè lavoratori già presenti in Italia in maniera non regolare, ma già alle dipendenze di un datore di lavoro o di una famiglia. E sappiamo che sono stati proprio loro a convincere i propri datori ad aderire al decreto e che per questo hanno anche dovuto pagare le varie tasse, reali o arbitrarie che fossero.
Ora che la buriana è passata, sappiamo che di quelle 500.000 domande ne verranno accolte solo 170.000: che cosa succederà di quei 330.000 che non verranno presi in considerazione? Continueranno, quasi certamente, a lavorare e a essere in Italia irregolarmente.
Qualche autorevole esponente del Governo ha inveito contro il ministro dell’Interno per non aver fatto uso delle forze dell’ordine per far espellere quanti stavano facendo le file alle Poste, poiché quasi certamente irregolari. Quanta ipocrisia: non sanno costoro che molte di quelle persone mantengono stabilità nelle nostre famiglie governando le nostre case, collaborando nella gestione dei nostri figli e dei nostri anziani, ancor più se non autosufficienti? Non sanno che un’eventuale retata avrebbe messo e metterebbe a repentaglio tutto il sistema di welfare del nostro Paese?
Bene ha fatto il ministro dell’Interno a non far intervenire le forze dell’ordine e bene hanno fatto quelle Amministrazioni locali, che consce dell’apporto di questi lavoratori al welfare invisibile del loro territorio, hanno mobilitato la Protezione civile affinché sostenesse quanti, in coda per ore, avevano bisogno di conforto di vario genere.
Tutto quanto si è verificato, dalla determinazione del “decreto flussi” alla sua emanazione alla presentazione delle domande, prova la pochezza politica con cui si sta affrontando in Italia il fenomeno immigrazione e la vita dei cittadini immigrati.
Il limitare l’accesso legale al nostro Paese non fa altro che aumentare il flusso di irregolarità cui si coniuga il prosperare del lavoro nero. Come abbiamo avuto modo di constatare, permarranno oggi in Italia, proprio sulla base del grosso quantitativo di domande presentate e che non verranno accolte, una notevole quantità di irregolarità. Questo significa che vi saranno centinaia di migliaia di persone che non vedranno, almeno in questo anno, corrisposti i propri diritti e che si terranno anche fuori dai propri doveri. Le Acli hanno più volte manifestato insofferenza nei confronti della vigente legge sull’immigrazione proponendo, insieme ad altre forze, la revisione almeno di alcuni dei passaggi più ostici e nel contempo l’incentivazione di politiche attive di integrazione. Vogliamo sperare, ormai, che la prossima legislatura e il prossimo Governo avranno il coraggio di entrare nel merito.
Pino Gulia
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