Oggi, a 50 anni dalla nascita delle Regioni a statuto ordinario, e' ancora un progetto o soltanto un sogno? Il problema non si risolve tracciando un confine tra aree interne e fascia costiera ma affrontando la battaglia per integrare le diverse anime di Robeto Costanzo |
http://www.gazzettabenevento.it/Sito2009/dettagliocomunicato2.php?Id=132465 |
Il 7 giugno del 1970 nascevano le Regioni a statuto ordinario (nel santino elettorale proprio del 1970 Roberto Costanzo è candidato con il numero 1 alla carica di consigliere regionale per la Democrazia Cristiana. Fu eletto ed entrò anche a far parte della Giunta con la carica di assessore regionale all'Agricoltura, una delega potente ed importante che Costanzo onorò con il suo impegno e la sua passione di sempre, ndd). Tra entusiasmi e diffidenze. Dopo cinquant'anni non è certamente positivo il resoconto, sebbene non del tutto negativo. Il Covid-19 ci ha fatto capire che il cittadino comune diffida più della Regione che del Governo. Vi è ancora un problema, ampiamente avvertito in tutt'Italia, che riguarda appunto la ripartizione di poteri e funzioni tra lo Stato e le Regioni; ed un altro, non meno grave, che è quello dei rapporti tra le varie aree di una stessa regione. Problema, quest'ultimo, che in Campania esiste dai tempi del Regno borbonico (la supremazia di Napoli). Si tratta di divergenze ed incomprensioni che l'istituto regionale non ha saputo dirimere, con la conseguenza che, di tanto in tanto, una provincia come la nostra rispolveri impulsi secessionistici del tipo Molisannio (Benevento-Campobasso-Avellino) o Nuova Longobardia meridionale (Benevento-Avellino-Salerno). Purtroppo, in diversi ambienti napoletani si crede ancora che la Campania inizi a via Caracciolo e finisca a Capodichino. Cinquant'anni fa qualcuno di noi affrontò la prima campagna elettorale con il motto “La Campania non finisce a Capodichino” (è stato questo il titolo di uno dei primissimi libri di Roberto Costanzo ndr). Oggi è ancora un progetto o soltanto un sogno? Il problema, però, non si risolve tracciando un confine tra aree interne e fascia costiera ma affrontando con convinzione la battaglia per integrare le diverse anime che compongono la Campania, cominciando col rivedere la composizione del Consiglio regionale, che oggi non rappresenta equamente tutte le cinque comunità provinciali. Trattasi di uno squilibrio che è stato accentuato dalla modifica dello Statuto della Regione e della relativa legge elettorale, approvati nel 2009 con qualche distrazione dei consiglieri regionali eletti in Irpinia e nel Sannio. Sarebbe andata meglio se nel 2001 non fosse stata approvata quella stravolgente riforma costituzionale che, con il Referendum del 2016 non riuscimmo a correggere. Oggi quasi nessun politico e pochi costituzionalisti si riconoscono nell'articolo 114 della Costituzione, così come modificato nel 2001. Le Regioni, da rami della Repubblica, sono diventate sue radici, con la conseguenza di continui contrasti e divergenze tra Governo nazionale ed Organi regionali, soprattutto per la gestione della sanità, che ormai è diventata quasi di esclusiva competenza regionale: e così abbiamo ben venti diverse politiche per la salute. Il presidente Mattarella, nella recente celebrazione del cinquantesimo della nascita delle Regioni, con la sensibilità che lo distingue, ha detto che "le diversità, se non utilizzate in modo improprio, sono un moltiplicatore di crescita civile, economica, culturale". In questo tipo di diversità credono i veri regionalisti. Ben pochi leader si pongono oggi il problema costituzionale della ripartizione di poteri e funzioni tra lo Stato e le Regioni, con tutte le buone intenzioni dell'attuale ministro del Sud, Giuseppe Provenzano, quando parla di “inadeguatezza del Titolo V della Costituzione...” Ma dov'era Provenzano quattro anni fa quando facemmo la sfortunata campagna referendaria per modificare quel contestato Titolo V? Fra tre mesi eleggeremo il nuovo Consiglio regionale: dobbiamo augurarci che tutte le forze politiche si dichiarino favorevoli ad una nuova legge elettorale volta a garantire “un'equa rappresentanza di tutte le comunità provinciali”: Così come ebbi a scrivere il 26 febbraio 2009 su "Messaggio d'oggi". Allora intendevo dire che il 20% dei seggi avrebbe dovuto essere ripartito, in quote uguali, tra le cinque provincie, ed il resto assegnato in rapporto al numero degli abitanti. Tra alti e bassi, l'autonomia regionale non è sembrata finora dannosa al Paese, quando non ha mostrato tendenze isolazioniste e indipendentiste e quando ha saputo valorizzare la storia e la diversità delle comunità locali. Quando ha posto la Regione come parte e non controparte dello Stato. |
A partire dall'esperienza associativa vissuta nelle ACLI e da quella amministrativa a Napoli e Castellammare di Stabia utilizzo questo spazio per affrontare i temi del dialogo tra le generazioni, del lavoro, della formazione, del welfare, della partecipazione e della loro necessaria innovazione.
venerdì, giugno 12, 2020
Cinquant'anni fa qualcuno di noi affronto' la prima campagna elettorale con il motto: "La Campania non finisce a Capodichino"
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