giovedì, giugno 04, 2009

Colf straniere a Napoli: una ricerc/azione

Ripensare la tutela del lavoro cura
di Pasquale Orlando, presidente delle Acli Provinciali di Napoli


Aggiornare la riflessione sul lavoro di cura a partire dalle trasformazioni sociali e culturali dell’epoca attuale e proporre azioni nuove di tutela e promozione sociale e professionale delle collaboratrici e dei collaboratori familiari è una delle questioni aperte su cui negli ultimi anni le Acli, per loro vocazione da sempre impegnate sul tema della tutela del lavoro, hanno provato a ragionare ricercando un dialogo costante con chi di lavoro di cura si occupa: istituzioni, famiglie, lavoratori e lavoratrici.
Lo scenario attuale impone a noi come associazione e alla società civile nel suo complesso una riflessione seria e condivisa sul lavoro di cura. L’invecchiamento della popolazione e la riduzione dei tassi di fecondità hanno di fatto determinato un aumento dei bisogni di cura. Ciò nondimeno alla base del fenomeno non ci sono soltanto fattori demografici. Le donne, anche se non lavorano, modificano le proprie competenze di genere all’interno della famiglia, riducendo il tempo di vita che possono o sono disposte a dedicare al lavoro di cura. Cambia la natura dei legami intergenerazionali, ai quali si continua a dare valore entro un quadro però modificato, segnato da una maggiore flessibilità dei rapporti e da gradi di libertà più ampi. Questi processi nel loro insieme hanno di fatto aperto nuovi spazi per la manodopera immigrata, soprattutto femminile, che tuttavia richiedono nuove forme di organizzazione del lavoro domestico.
L’indagine di cui presentiamo i risultati offre in questo senso spunti interessanti di riflessione. I dati – che sintetizzano i profili socio-anagrafici dei lavoratori domestici e dei datori di lavoro che hanno affidato la pratica di assunzione presso il Patronato Acli di Napoli, nonché le condizioni di contratto che regolano i rapporti fra le parti – non vogliono offrire un quadro complessivo del fenomeno, ma solo provare a mettere le azioni dentro ragionamenti più ampi in una fase in cui tra ronde e respingimenti tutto ciò sembra più difficile.


Numeri, provenienze, bisogni ed aspettative delle colf a Napoli
di Marialaura Biscaglia, Anna Cristofaro


I lavoratori domestici
Nel complesso panorama dei lavoratori domestici gli stranieri costituiscono ben il 92,56%. I dati a nostra disposizione segnalano una maggiore incidenza delle donne sui casi considerati (87,63%) per quanto la presenza dei maschi non sia comunque trascurabile (12,37%).
Le nazionalità prevalenti sono l’Ucraina ( il 52.01% del totale) e lo Sri Lanka ( il 16,35 del totale) che insieme costituiscono il 66,33% dei casi. Sebbene l’incidenza percentuale delle donne sia alta per ciascuno gruppo considerato alcuni sono fortemente femminilizzati, mentre altri, come quello dello Sri Lanka, hanno una composizione più equilibrata.
Gli uomini sono tendenzialmente più giovani delle donne. L’ipotesi è che gli uomini entrino nel settore delle collaborazioni domestiche all’inizio del loro percorso migratorio per poi uscirne una volta ottenuto il permesso di soggiorno o più in generale che le donne mettano in atto strategie migratorie diverse rispetto a quelle degli uomini che prevedono anche la partenza in una età avanzata della vita. Il lavoro domestico assume allora un senso diverso secondo i percorsi migratori.
Inoltre. Quasi la metà delle donne considerate non è coniugata o è vedova, ha quindi progetti migratori autonomi rispetto a quelli degli uomini.
Per effetto della espulsione di manodopera da altri settori produttivi molte donne italiane ritornano nel settore domestico dove si verifica un aumento delle domande di lavoro. L’Italia è quarta per numero di assunzioni con il 7,44%.
Anche per quanto riguarda i lavoratori italiani i dati evidenziano una maggiore incidenza delle donne sui casi considerati. In questo caso la percentuale sale al 93.33%. Le donne italiane impiegate nel settore delle collaborazioni domestiche sono tendenzialmente più giovani rispetto a quelle straniere e la categoria di stato civile più numerosa è quella delle coniugate.

Tipologie contrattuali e inquadramenti prevalenti
Il contratto nazionale di lavoro vigente prevede quattro categorie per l'inquadramento di questi lavoratori, a loro volta divise in due qualifiche, una normale e una “super”: dalla semplice donna delle pulizie, sprovvista di esperienza professionale, fino alla collaboratrice familiare "certificata", con mansioni di assistenza alle persone non autosufficienti.
Più della metà dei lavoratori domestici è inquadrata nella categoria B, collaboratori generici polifunzionali. La categoria BS – assistente a persona autosufficiente – ha un’incidenza percentuale più alta della CS – assistente a persona non autosufficiente. Questa differenza è legata ad un utilizzo strumentale della categoria BS che rispetto alla seconda consente di ridurre il carico contributivo con conseguente riduzione delle prestazioni collegate.
Il 52, 85% dei casi ha una copertura assicurativa pari a 25 ore settimanali, il 22,33% da 26 a 30 ore, il 21, 34% fino a 24, mentre solo il 3, 47 % ne dichiara oltre 30. Tuttavia se teniamo conto del dato che segnala come assolutamente prevalente la coabitazione tra lavoratore domestico e datore di lavoro facilmente immaginiamo che, indipendentemente da quanto dichiarato, le ore lavorate in una settimana non siano affatto 25, ma molte di più e per la stessa paga mensile.
Ad essere impiegate nel lavoro di cura sono soprattutto donne straniere.
Dai dati risulta che il 7,89% dei lavoratori impiegati nel lavora di cura ha meno di 35 anni contro il 21.86% dei collaboratori generici polifunzionali, il 23.68% ha un’età compresa fra i 36 e i 45 anni contro il 27,91%. E’ nella classe mediana, che si inverte il trend: ha un’età compresa fra i 46 e i 55 anni ben il 46,05% dei lavoratori impiegati nel lavoro di cura contro il 35,81% dei collaboratori generici polifunzionali, il 20,39% ha fra i 56 e i 65 anni contro il 13,49%, mentre l’1,97% ha più di 65 anni contro poco più che lo 0, 90%. Ad essere impiegate nel lavoro di cura sono quindi soprattutto donne e uomini non più giovanissimi.
I dati indicano che sono soprattutto le donne a risiedere presso il datore di lavoro, mentre gli uomini spesso optano per soluzioni alternative.
Fra i lavoratori stranieri che convivono con il proprio datore di lavoro la classe d’età che conta più frequenze è quella che va dai 46 ai 55 anni, che da sola copre il 44,22% del totale. A questa segue con il 22,61% la fascia che va dai 56 ai 65 anni, mentre gli ultra 65cinquenni sono il 2.01%. Viceversa i lavoratori che hanno una residenza autonoma si concentrano nelle prime tre fasce di età, che da sole contano l’87,69% dei casi, mentre solo l’11,82 ha fra i 56 e i 65 anni e meno del 1% più di 65.
Prevale la categoria dei coniugati sia fra i conviventi che fra i non conviventi. Fra i non conviventi assolutamente non trascurabile è la percentuale dei celibi/nubili.
Sebbene la categoria dei “conviventi” sia numericamente superiore rispetto a quella dei “non conviventi” per ciascuna delle nazionalità considerate, nel caso dei gruppi di recente immigrazione la percentuale diventa schiacciante. La coabitazione con il proprio datore di lavoro rappresenta sulle prime la soluzione più conveniente sia da un punto vista economico che logistico. La scelta di prendere casa e di rendersi in questo modo autonomi richiede una certa disponibilità di denaro, ma anche e soprattutto l’acquisizione di tutta una serie di codici culturali della società ospite che consentono al migrante di muoversi al suo interno, di capirne le contraddizioni, di risolversi e orientarsi nella vita di tutti i giorni.
Nella maggioranza dei casi i lavoratori e le lavoratrici domestici/che impiegati in lavori di cura coabitano con i propri datori (48,14%). Al contrario fra i collaboratori generici polifunzionali prevale la formula della non convivenza.

I datori di lavoro
Più donne (55,34%) che uomini (44,65%) assumono colf, più donne (66,44%) che uomini (33,55%) assumono assistenti familiari.
Chi assume una colf è in media più giovane di chi assume un assistente familiare. In entrambi i gruppi gli uomini sono tendenzialmente più giovani rispetto alle donne tra le quali le fasce d’età più anziane vantano un’incidenza percentuale più alta della media.
Per quanto riguarda la situazione di stato civile dei datori di lavoro dai dati emerge che:
· nel primo gruppo i coniugati superano tutte le altre categorie di stato civile
· nel secondo la categoria di stato civile che conta più frequenze è quella dei vedovi e delle vedove (anche quella dei celibi/nubili e quella dei coniugati presentano quote d’incidenza rilevanti).
Un dato interesante è quello che si ricava incrociando per ciascun gruppo considerato la situazione di stato civile con le fasce di età. In particolare un dato colpisce. Fra i datori di lavoro che hanno assunto un collaboratore domestico inquadrandolo nella categoria BS – assistente a persona autosufficiente – ben il 47,62% si dichiara solo per effetto della vedovanza. Con ogni probabilità si tratta di persone autosufficienti, che non hanno bisogno di assistenza senso stretto, ma di aiuto domestico e soprattutto di compagnia.

Tra il familiare ed il subalterno: un lavoro ambiguo
di Anna Cristofaro


A partire dagli anni Ottanta, la domanda nel settore dei servizi si è modificata. L’immigrata non arriva più soltanto per rispondere ai bisogni dell’alta borghesia, presso la quale aveva una funzione di simbolo sociale, ma soprattutto per assicurare assistenza domiciliare a persone anziane. In questo caso la domanda di servizi proviene soprattutto da famiglie appartenenti alla media e piccola borghesia ed è collegata con il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione e con l’assenza di una politica sociale da parte dello Stato, ma esprime ugualmente la crisi della solidarietà intergenerazionale.
Il modello familiare di servizio a domicilio a cui ha fatto ricorso la media e piccola borghesia assicura un nuovo stile di vita familiare e produce conseguenze sui modi dell’abitare. Non si tratta della domestica vitto e alloggio che appartiene all’universo privato borghese e di cui le case portano le tracce più visibili nelle camere delle domestiche. Le immigrate oggi arrivano per lavorare dentro con uno strato sociale che non ha alcuna tradizione di assistenza domestica. La presenza delle straniere dentro lo spazio domestico crea dunque una situazione inedita tanto per le immigrate quanto per le datrici/datori di lavoro. Le due parti devono costituire un nuovo ordine dentro lo spazio quotidiano.
I napoletani vivono in una casa pensata per una famiglia tipo, composta dalla coppia e due figli. In realtà però continuano a viverla e a strutturarla a partire dal valore conferito alla famiglia allargata. L’uso dello spazio domestico è strutturato secondo una logica che è soprattutto familiare.
L’arrivo delle badanti straniere mette in crisi la rappresentazione dello spazio domestico come luogo simbolico e concreto dei legami genealogici. La straniera per esservi integrata deve allora trasformarsi in “una di famiglia”.
Tuttavia ci sono ambiti – quelli delle faccende domestiche soprattutto – in cui invece la logica dei rapporti non è più di tipo affettivo – o quasi – ma strumentale. Si vende e compra lavoro. Lo scambio è tra prestazione e controprestazione. La casa diventa luogo di lavoro etero diretto.
In questo caso la gerarchia delle posizioni domestiche è chiara e assegna la badante ad una posizione subalterna. Questo non vuol dire che nei fatti la badante non rinegozi margini di autonomia più o meno ampi. Significa piuttosto che è tenuta a rispettare dei ruoli, “a stare al proprio posto”.
E quindi. Le immigrate sono chiamate a gestire un confine “mobile”, ad allungare e ad accorciare le distanze in modo pragmatico e a seconda delle circostanze. I confini – diceva Barth - non sono stabiliti una volta per tutte in base a criteri definiti. Il confine è il mezzo attraverso cui di volta in volta definire il contesto dell’interazione.

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