lunedì, maggio 13, 2013

Ecco il deserto industriale Campania, reddito in picchiata


In 5 anni persi 114 mila posti, crolla il manufatturiero, giovani e donne i più colpiti


Il Sud e la Campania si avviano verso una desertificazione industriale, penalizzati da governi sempre più sordi, a farne le spese giovani e donne. La Campania diventa fanalino di coda nella classifica europea delle regioni italiane per reddito pro capite e scivola al 224 esimo posto dopo la Sicilia, la Sardegna e la Basilicata.

La scure si abbatte soprattutto sull’industria con 141 mila posti cancellati. Dai 951 mila lavoratori del 2007 si è passati agli 809 mila del 2012. Un’emorragia che non si ferma: la metà dei posti perduti è stata sacrificata proprio dall’industria, che dal 2007 al 2012 ha perso il doppio dei posti di lavoro del Centro Nord (meno 7,7 per cento in 5 anni contro la riduzione del 15 per cento del Mezzogiorno).

Cede anche il manifatturiero con la Campania che dall’11, 2 per cento scende all’8,8 per cento, tra le cifre più basse registrate in Italia con un gap di 10 punti percentuali rispetto al Nord. «La Campania è l’ultima regione italiana per recupero del Pil — spiega il presidente Svimez Adriano Giannola (nella foto in basso) — ma ha margini di recupero più alti rispetto a chi sta meglio». Impossibile non affrontare l’emergenza imprese, penalizzate dalla flessione del fatturato (seppure con una ripresa nell’ultimo biennio) e al palo con l’export. Un quadro nero che si ripercuote sugli utili con perdite di 2 milioni nel 2011.

Sono gli argomenti alla base della presentazione di quattro rapporti sul Mezzogiorno, 
elaborati dalla Fondazione Ugo La Malfa, Banca d’Italia, Svimez e Unione industriali nell’ambito del convegno “Il rilancio dell’economia meridionale”, tenuto nella sede della fondazione del Banco di Napoli. Trecentomila posti di lavoro andati in fumo al Sud in 4 anni (dal 2008 al 2012).

Un quadro scoraggiante, quello disegnato dall’ultimo rapporto Svimez elaborato su dati Istat. 

Relazioni che annunciano un futuro desolante. Al Sud lavorano il 27 per cento degli occupati in Italia, è nel nostro territorio che si concentrano le maggiori perdite. Insomma, è il Mezzogiorno a pagare il prezzo più alto: i posti di lavoro persi da Roma in giù sono il 60 per cento del totale nazionale. 

Lo scenario non migliora per giovani e donne: l’anno scorso solo poco più di 1 giovane su 3 under 34 ha lavorato al Sud (37,9 per cento) e 1 donna su 5 (23,6 per cento). Insomma, se la crisi porta al declino delle regioni del Nord, schiaccia irrimediabilmente il nostro territorio. «Gli effetti delle manovre di austerity — spiega Giannola — hanno avuto una ricaduta più pesante sul Pil del Sud con il 2 per cento contro lo 0,8 per cento del Centro Nord. Il governo cosa ha fatto di fronte ad una situazione del genere? Il documento dei saggi è un guazzabuglio senza strategia dove il Sud viene stralciato come un fatto di misteriose difficoltà di intervento. Serve invece una scelta politica, bisogna agire subito». 

Invece le istituzioni si nascondono dietro alibi, sostiene Giannola, per non affrontare realmente il caso Mezzogiorno. Cala l’occupazione, la produttività e sono sempre meno le industrie capaci di sopravvivere sul territorio. La situazione emerge dal rapporto della fondazione Ugo La Malfa, che ha analizzato, in collaborazione con l’area studi di Mediobanca, gli elementi di bilancio di circa 2000 imprese mediograndi, di cui 114 al Sud soprattutto tra Campania, Abruzzo e Puglia. «Serve un’azione determinata — conclude Giorgio La Malfa — bisogna metterci soldi, idee nuove. Ammettiamo che il vecchio modello anni Cinquanta è fallito e facciamo qualcosa di concreto. Dopo l’Iri e la Cassa per il Mezzogiorno abbiamo lasciato il Sud abbandonato a se stesso. Aspettiamo che il nuovo governo affronti questa necessità».

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