pubblichiamo il reportage di Filippo Pugliese del CTA di Potenza in occasione del Giorno della Memoria.
Gerusalemme, 27 gennaio 2012. Un fiore allo Yad Vashem per non dimenticare nel Giorno della Memoria le vittime dell’odio razziale e della follia nazifascista. Non si va mai con piacere in un luogo doloroso, ma “ la capacità di indignarsi di fronte alle ingiustizie del mondo” deve trovare continuo alimento e, allora, visitarlo è un buon modo per dare valore a una iniziativa di civiltà qual’è , appunto, l’istituzione del Giorno della Memoria.
Nello Yad Vashem di Gerusalemme, il Memorial dell’Olocausto, si tocca con mano il silenzio assoluto che pervade tutta la struttura. E’ un silenzio quasi irreale in una città che ha la sua voce e il
cuore pulsante nelle strade della storia, che si illumina del biancore delle sue case e dei suoi quartieri. All’interno è una diffusa oscurità qua e là interrotta da sapienti fasci di luce che illuminano quanto basta ciò che si vuole far vedere e che viene esposto e spiegato con cura e precisione meticolose. E’ la ricostruzione della Shoah, dello sterminio di sei milioni di ebrei; è la rappresentazione dell’orrore fatta con crudezza. Non è una casa dell’orrore, ma l’orrore prende allo stomaco e attraversa l’anima e la coscienza di essere umano. La storia dello sterminio nascosto agli occhi dell’umanità è qui raccontata in modo che il nascondimento, nel silenzio e nell’oscurità, emerga come l’elemento significante delle cose rappresentate. Un silenzio e un’oscurità assoluti, appunto, perché proprio il buio la penombra e l’oscurità, uniti al silenzio, hanno sempre accompagnato i genocidi nella storia. Per lungo tempo i molti silenzi hanno tenuto nascosto il crimine contro l’umanità e le molte oscurità non hanno consentito che si facesse luce. Di chi fu quel silenzio? Chi oscurò la conoscenza ? Il silenzio fu di tutti i cittadini che erano circostanti ai campi di sterminio; fu degli stessi alleati che già sapevano cosa accadeva nei campi della Germania nazista; le ombre furono di quanti hanno favorito un clima generale di caccia all’ebreo attraverso la delazione, la complicità delle leggi razziali e l’asservimento a concezioni e supremazie razziali; il silenzio fu anche di alcuni esponenti della chiesa cattolica. Amara è la fotografia di Papa Pacelli con sotto la didascalia, in inglese e in ebraico, che ricorda il suo silenzio di fronte al dramma degli ebrei. Fu veramente così ? E’ una questione ancora aperta e solo lo studio degli archivi vaticani, se e quando saranno aperti, potrà stabilire la verità storica.
Attira l’attenzione un grande tabellone a parete con tantissimi punti luminosi che si rivela una grande carta geografica dove sono segnati gli insediamenti degli ebrei in Europa, prima dell’avvento del nazismo. E’ la mappa che serviva al potere nazista per pianificare dove effettuare i rastrellamenti e dove concentrare le deportazioni. Balza evidente come la maggiore concentrazione degli ebrei era in Germania e in Polonia, nelle città e nei paesi, poche le località dove erano assenti. Fu una diffusa presenza perché gli ebrei si trovavano bene in Germania Polonia e Ungheria e avevano molto peso nella società del tempo, con attività economiche e finanziarie, artigianali, e con l’organizzazione della cultura a fronte di una condizione generale impoverita da una guerra disastrosa.
Grandi fotografie raffigurano i violenti rastrellamenti e la chiusura della gente nei ghetti. Sono sagome umane così verosimili che sembra di essere nel mezzo di un rastrellamento, dove le donne e i bambini, carichi delle poche masserizie recuperate, sono deboli creature che si avviano verso chissà quale inferno. Dall’oscurità, in fondo a una stretta galleria che rappresenta una stretta via, un fascio di luce che va e viene illumina sagome umane vestite di abiti con la grande stella gialla di Davide e in atteggiamenti di fuga da un ghetto e da una SS che sbarra loro la strada.
Per chi uscivadal ghetto c’era la pena di morte e furono rivolte soffocate in bagni di sangue.
Dal ghetto al lager. Qui l’orrore arriva al culmine, a cominciare dai carri-bestiame che servivano alle deportazioni nei campi di concentramento e di sterminio. Auschwitz, Dachau, Birchenau, Mauthausen sono soltanto i più conosciuti, ma erano 149 i lager disseminati in Germania, Polonia, Austria e anche in Italia (la risiera di Trieste). La ricostruzione di quello che avveniva nei campi di sterminio è impressionante nelle ambientazioni dell’interno delle baracche, della camera a gas e del forno crematorio allestiti con attrezzature prese in qualche lager; è crudele nella descrizione dei lavori forzati e delle umiliazioni cui erano sottoposti i deportati. Nella galleria “dell’orrore raccolto” sono esposti una montagna di scarpe, una quantità enorme di denti d’oro e d’argento e di capelli appartenuti ai deportati, oggetti confezionati con lembi di pelle umana, strumenti medici inquietanti utilizzati per diabolici esperimenti e…. mi fermo qui per non affondare nell’orrore. .
Fuori, un monumento in bronzo rappresenta la grande rete di un lager su cui finivano i tentativi di fuga dei deportati, folgorati in tutta la loro disperazione. All’ingresso è un filare di 2000 alberi di carrubi, chiamato il Viale dei Giusti di tutte le nazioni. Cioè di coloro che in tutte le parti del mondo hanno aiutato gli ebrei , in vari modi, a sfuggire alle deportazioni. Un albero è dedicato anche a un italiano: il falso console che salvò centinaia di ebrei. “Furono i Giusti a salvare l’onore dell’Italia” –ha dichiarato il Presidente della Repubblica- “come altrove in Europa essi salvarono e riaffermarono in quell’epoca oscura i valori fondanti della civiltà europea”.
Si esce dalla Yad Vashem con il ribrezzo, l’angoscia e lo sgomento cuciti sul volto e una profonda tristezza nell’animo. Sembra che solo “L’urlo”, il famoso quadro simbolista di Munch, possa esprimere bene il nodo delle emozioni terrificanti che si forma nel visitatore.
Filippo Pugliese
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