«La questione meridionale, sotto gli occhi di tutti, denuncia un vuoto etico-politico che, dall'Unità d'Italia a oggi- è la requisitoria dell’arcivescovo di Napoli-, ha consentito che il Mezzogiorno, e la Campania in particolare, restassero imbrogliati nelle solite problematiche di una continua dipendenza del nostro apparato produttivo a scelte fatte da altri senza tenere conto della specificità e identità del territorio». Il risultato è stato il configurarsi di una «economia diabolica», la cifra del Paese duale. «L'assistenzialismo paternalistico - spiega Sepe - non ha garantito la tutela dei diritti delle classi subalterne e non ha stimolato la nascita di una politica autentica di solidarietà orientata all'interesse comune». Ecco perché oggi c’è una «politica sempre più lontana dal suo dover essere al servizio dell'intera comunità». Un atto d’accusa senza attenuanti. Il cui prodotto visibile è il fossato tra «chi tende all'interesse personale e chi attende il lavoro come manna dal cielo». I danni collaterali sono enormi. «La confusione dei linguaggi che ne è derivata, quasi una torre di Babele - insiste il presule - ha determinato, soprattutto nel Mezzogiorno la confusione del linguaggio dei diritti e dei doveri con quello dell'abuso e della sopraffazione». E l’altra faccia del deficit di visione comunitaria è il «disagio giovanile», il problema «più rilevante» tra quelli del Mezzogiorno. «È un dramma quello della disoccupazione dei giovani - dice Sepe - che non poche volte sono facile preda di un'economia sommersa sostenuta dal lavoro nero o, peggio ancora, dalla camorra che propone facili guadagni». Pertanto «bisogna avere il coraggio di attuare politiche capaci di offrire lavoro, ma soprattutto è necessario essere testimoni di principi etici che non siano negoziabili», afferma dice citando la Congregazione per la Dottrina della Fede. «Se i nostri giovani crescono con l'idea che si è integrati nella società solo se si è in grado di essere al passo con la moda - è il monito - saranno essi stessi le prime vittime di una mentalità falsa e fuorviante che rifiuta i principi etici e morali e, di conseguenza, anche di un distorto sviluppo sociale». Parole dure, raccolte dal governatore Caldoro. «La partecipazione deve essere di tutti, più ampia - sostiene- non solo la classe dirigente intesa in senso verticale, ma orizzontale. Ci sono responsabilità diverse, ma credo che la partecipazione debba essere più ampia, di tutti i cittadini». Ma a sferzare la politica è anche monsignor Francesco Rosso, assistente ecclesiale dell’Mcl: «Chi si riconosce nella Dottrina sociale della Chiesa va richiamato alle sue responsabilità. S’è candidato per i suoi interessi o per quelli generali?». Pasquale Orlando, segretario campano Acli, rilancia una ricetta per la crisi: «Reddito sociale di inserimento per le famiglie deboli».
A partire dall'esperienza associativa vissuta nelle ACLI e da quella amministrativa a Napoli e Castellammare di Stabia utilizzo questo spazio per affrontare i temi del dialogo tra le generazioni, del lavoro, della formazione, del welfare, della partecipazione e della loro necessaria innovazione.
venerdì, settembre 30, 2011
Questione Sud emblema del vuoto politico
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento