venerdì, aprile 08, 2011

le sette opere di misericordia raccontate da Erri De Luca




Si definisce non credente piuttosto che ateo perché «esclude la divinità per se stesso e non per gli altri» ma allo stesso tempo ammirato da taluni cristiani per la praticità con cui aiutano il prossimo, «come se non stessero facendo niente».
Lo scrittore Erri De Luca è in Cattedrale affollatissima, alle sue spalle una gigantesca installazione di sette metri (realizzata dall'imprenditore Giacomett) che riproduce "Le sette opere di misericordia corporale" di Caravaggio. È qui perché ha risposto all'invito del cardinale Sepe, l'unica autorità civile riconosciuta in città secondo lui, per celebrare il Giubileo dell'arte, il 31 marzo, ultimo appuntamento del mese di marzo, dedicato dalla diocesi alla cultura. E da ospite, dice, offre una rilettura dello splendido dipinto di Caravaggio, icona del Giubileo e di Napoli, e delle sette opere di misericordia in esso racchiuse (anche se, secondo la successiva esposizione di Nicola Spinosa al Pio Monte, in realtà le "misericordie" raffigurate nel quadro sono sei perché tanti erano gli aristocratici che l'avevano commissionato).
Il corpo è una stanza che noi abitiamo solo per un periodo, fa notare De Luca a proposito di "Seppellire i morti". «Quando moriamo dobbiamo
restituire l'appartamento e a prendersene cura sono i vivi, nell'atto misericordioso della sepoltura». Al "Visitare i carcerati", invece dedica un ricordo personale: «La mia generazione politica ha avuto il merito di portare i libri in carcere per i detenuti analfabeti - spiega - che rappresentavano l'unica possibilità per raccontare e smaltire il tempo della pena».
Così sulla nudità. «Vestire gli ignudi è un gesto premuroso. Nella storia recente i prigionieri ebrei venivano messi nelle camere a gas nudi perchè spogliare è togliere la dignità che l'abito restituisce».
Per interpretare il "Curare gli infermi", lo scrittore cita il Signore: «Il più grande infermiere è stato Cristo - fa notare De Luca - che riusciva a sanare gli storpi erestituire la vista ai ciechi. Ma non lo poteva fare con tutti, solo con i prossimi. Curare gli infermi è un grande gesto di vicinanza».
L'attualità fa da sfondo alle due "misericordie": "Dar dare bere agli assetati - «l'acqua è natura che non può essere arginata, controllata o privatizzata da nessuno» - e "Dar da mangiare agli affamati": «Il cibo non deve essere ridotto a merce e non serve per fare commercio, non deve avere valore di scambio».
Si affida infine ad una storia per commentare "Alloggiare i pellegrini". «Nel 1941 in una località della Lituania, ci fu una delle tante stragi di ebrei che venivano fucilati e poi fatti cadere in una fossa comune. Un ragazzo calcolò l'intervallo che intercorreva fra una raffica e l'altra. Si gettò nella fossa prima che lo fucilassero.
Dopo molte ore riuscì a liberarsi, fu l'unico sopravvissuto. Cominciò a chiedere aiuto ma tutti lo cacciavano. Ad una vecchia disse di essere il redentore e lei lo accolse. È bene, dunque, accogliere gli stranieri - conclude - perché possono essere migliori di noi».

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