domenica, gennaio 16, 2011

Sepe «Napoli è viva e presto si salverà». Dire Napoli nel mondo.


(di Antonio Sasso da il Roma)

Eminenza, continua il suo itinerario di visite all’estero. Domani sarà in America.
«Sì. Vado a New York per vedere Napoli oltre Napoli e incontrare i napoletani che in quella grande metropoli risiedono e lavorano, i figli di napoletani emigrati, ma anche gli americani che guardano a Napoli con simpatia, attenzione e rispetto».
Dopo Mosca, Cipro, Istanbul, Polonia, Barcellona e Cina, sarà un altro viaggio nel segno del dialogo interreligioso?
«Non c’è dubbio che mi muoverò con questo spirito, nel convincimento che dagli incontri nascono nuovi impulsi al dialogo interreligioso che costituisce un fondamentale strumento per la costruzione della giustizia e della pace nel mondo. II punto di riferimento, peraltro, è sempre Napoli e, in particolare, la Napoli del Meeting interreligioso del 2007 nel corso del quale ebbi modo di conoscere, fra gli altri, il rabbino Schneier di New York con il quale mi incontrerò in più occasioni che saranno per me importanti ed emozionanti per il contenuto dei colloqui, ma anche perché richiameranno in me la portata e il significato delle visite fatte a lui e alla Sinagoga dai Pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI».
Avrà anche contatti con personalità e organismi del mondo civile?
«II mio sarà il viaggio della testimonianza. Parlerò dell’azione pastorale della Chiesa di Napoli incentrata su famiglia e scuola e del forte impegno nella comunità locale. Inoltre, negli incontri che avrò, nella comunità italiana di Brooklyn come all’Onu con i rappresentanti del Vaticano e dell’Italia, presso l’Istituto italiano di Cultura o con l’Italian Accademy Foundation o ancora al Calandra Italian American Institute, presso il Museo dell’Immigrazione o presso la Casa italiana Zerilli-Marimò o infine presso la Scuola d’Italia, desidero testimoniare la riconoscenza di Napoli ai napoletani di New York per quanto hanno saputo realizzare e per quanto hanno saputo esprimere onorando la propria città e il proprio Paese d’origine. Ma mi preoccuperò, nel contempo, di testimoniare Napoli per come è, con le sue sofferenze e le sue contraddizioni, i suoi limiti ma anche le tante eccellenze, le tantissime risorse e potenzialità in tutti i campi, dalla cultura all’imprenditoria e al lavoro. Dirò della capacità, della professionalità, della intelligenza e della genialità dei napoletani e anche della loro cordialità, generosità e apertura agli altri. Racconterò quanto di bello e di positivo la nostra città è capace di offrire e di proporre. Dirò delle attese e delle piaghe di Napoli, ma con altrettanta chiarezza dirò anche che Napoli non è solo spazzatura e camorra. Per questo, inviterò i nostri connazionali ma pure i tanti amici americani a venire a Napoli, a visitarla, a vederla o rivederla per meglio conoscerla e presentarla o rappresentarla nella maniera giusta e veritiera, superando i tanti luoghi comuni e i pregiudizi. II mio obiettivo, insomma, è quello di raccontare Napoli a New York, descrivendola per quello che è e per il tanto di buono e di bello che essa possiede. Dirò che Napoli è essenzialmente una città da amare».
Avrà il coraggio di dire ai suoi interlocutori americani che Napoli si salverà? E in che tempi potrà svoltare?
«Non solo avrò il coraggio di dirlo, ma spiegherò il mio convincimento che Napoli si salverà. È la storia che lo dimostra, perché da sempre la nostra città è capace di affrontare e superare precarietà, disavventure e calamità, senza mai piegarsi e, anzi, difendendo e facendo leva sulle sue ricchezze e sui suoi valori. Circa i tempi della svolta ho qualche difficoltà a fare anticipazioni anche perché non ho il dono della profezia, ma so che essa è possibile e certa, se la sappiamo costruire tutti insieme, in sinergia, con impegno e disinteresse, perseguendo il bene comune attraverso l’apporto delle proprie capacità e delle proprie idee. È questo, in fondo, il senso e l’obiettivo del Giubileo per Napoli, che deve essere visto come il Giubileo delle buone intenzioni e delle proposte possibili e non essere considerato, con cattiveria, il Giubileo delle soluzioni, alle quali sono tenuti altri organismi e altre persone».
Per il Giubileo napoletano potrebbe tornare il Papa in città?
«Non penso, considerando i tanti impegni del Santo Padre. Ma non lo escludo, conoscendo la sua predilezione perla nostra Città, manifestata più volte e in tanti modi».
Per lei qual è la strada per costruire l’ordinarietà efficiente che i cittadini attendono ormai da più di vent’anni?
«L’impegno di tutti e a tutti i livelli, partendo da una cittadinanza attiva e responsabile. Occorrono, però, buona volontà, rispetto delle regole, disinteresse e disponibilità a servire».
Può essere considerata prioritaria e propedeutica una questione di responsabilità?
«Non serve cercare responsabili. Questo tema spetta ad altri ed è da tenere presente in altre circostanze. Serve piuttosto l’impegno sinergico di tutti, come ho detto prima, anche una maggiore e più adeguata azione della Chiesa, che deve essere pronta all’ascolto e avere la capacità di rappresentare al meglio il proprio ruolo di servizio all’uomo, sul piano pastorale e su quello sociale».
Perché continua a mancare in Campania un modello credibile di sviluppo?
«Io non so se continua a mancare o non ha trovato compiuta attuazione un modello di sviluppo. Penso, comunque, che il problema sia più complesso di quanto possa apparire, per l’intrecciarsi di varie ragioni che vanno dalle deficienze strutturali e dalle cause storiche alle emergenze ricorrenti, alle catastrofi naturali, alle crisi dell’economia nazionale e internazionale, alla mancanza di una lucida visione dei percorsi possibili».
Quale è il tasso di realtà della nostra crisi economica e morale e quale è invece la dilatazione mediatica dei problemi napoletani?
«Credo sia innegabile una incidenza significativa della crisi economica e di quella morale, che, sommandosi, finiscono con il pesare non poco sulle complessive condizioni di vita delle famiglie e dell’intera comunità, condizionando fortemente ogni discorso di prospettive e di futuro soprattutto in riferimento alle giovani generazioni. Per quanto riguarda la ipotizzata dilatazione mediatica dei problemi napoletani, debbo rilevare che c’è una qualche tendenza a farci male con le nostre mani, per così dire, dedicando fin troppo spazio informativo alla criminalità, alla delinquenza, alle illegalità e alle negatività che tanto nuocciono a Napoli, mentre mancano del tutto o vengono presentate in posizione marginale le tante cose positive ed eccellenti che fanno ricca e vitale la nostra città».
La mancanza di consapevolezza della nostra borghesia è addebitabile, secondo lei, anche alla irrilevante funzione sociale degli intellettuali napoletani?
«Vale quanto ho detto in precedenza circa la inutilità della caccia alle responsabilità. È utile piuttosto mettere insieme, per il bene di Napoli, le tantissime persone responsabili che ci sono anche nella borghesia come tra gli intellettuali. La dimostrazione è data dalla risposta entusiasta all’appello di coinvolgimento nel Giubileo per Napoli».
La deriva laicista, che è uno dei mali del nostro tempo, travolge anche Napoli, nonostante il profondo umanesimo della nostra metropoli. Non è mancato anche un ruolo di stimolo, di denuncia e di formazione della Chiesa?
«Ho già detto che non abbiamo fatto abbastanza, se ci riferiamo al ruolo di stimolo e di formazione della Chiesa, tenendo comunque conto della complessità e della mutabilità dei modelli sociali ed anche dei costumi, pesantemente condizionati dai falsi miti proposti in maniera incisiva dai diversi mezzi di comunicazione. Non concordo, viceversa, sul ruolo di denuncia che la Chiesa non ha fatto mai mancare, a tutti i livelli, fino ad essere tacciata di ingerenza o quantomeno a fare storcere il naso a qualcuno».
Di fronte alle gravi denunce, anche di sacerdoti impegnati sul fronte anticamorra, sull’arrendevolezza di molti parroci, lei difende con passione la Chiesa nella sua globalità. Non sarebbe invece il caso di richiedere più coraggio ai parroci, invitandoli ad ispirarsi a quei sacerdoti che si sono esposti e si espongono incuranti di rischi e pericoli?
«Forse la domanda risente della esistenza di un rapporto privilegiato e personale, che è certamente legittimo ma non può condizionare o giustificare un giudizio esteso all’intera realtà, fatta di sacerdoti e parroci impegnati e non pavidi, che lavorano quotidianamente in trincea e nel silenzio, senza ricercare la luce dei riflettori o l’amplificazione dei mezzi di comunicazione, che soddisfano unicamente la vanità individuale. Difendo il mio clero e non consento ad alcuno di gettare ombre su di esso, esprimendo giudizi temerari e ingenerosi».
Lei è molto seguìto, in ogni attività, dagli organi di informazione. Ritiene che l’amplificazione mediatica del lavoro pastorale e delle iniziative ecclesiastiche possa supportare l’evangelizzazione della Chiesa e raggiungere un maggior numero di persone?
«La Chiesa da duemila anni, anche quando non si disponeva di mezzi di comunicazione più o meno sofisticati, faceva opera di evangelizzazione e trasmetteva all’uomo la legge di Dio. Sarebbe insulso non utilizzare nell’azione pastorale le moderne tecnologie per parlare all’uomo ovunque egli si trovi».
La camorra è un potere criminale, ma anche una mentalità e, peggio ancora, una cultura. Ritiene che la Chiesa stia facendo tutto il possibile per contrastarla?
«Penso che la Chiesa stia facendola sua parte, richiamando ciascun uomo alla responsabilità di cittadini e di cristiani. Certamente la Chiesa non ha la pretesa di riuscire a debellare da sola la camorra, ma sa e sostiene che c’è bisogno del concorso di tutti attraverso l’esempio, il rispetto della legalità, la moralizzazione dei comportamenti, l’introduzione di misure sociali, l’applicazione di pene giuste, l’azione di riabilitazione e di reinserimento di quanti hanno espiato la propria colpa».
Sui giovani, cosa può dirci: vede una generazione promettente o perduta? Oppure si ritrova davanti due mondi antitetici: i giovani perbene e quelli che deviano? E quale strategia ha per gli uni e per gli altri?
«A parte fenomeni di bullismo e diversi casi di devianza dovuti, a mio avviso, alla disgregazione della famiglia e al fascino folle della potenza e della prepotenza, Napoli vanta un mondo giovanile meraviglioso che costituisce la vera, grande risorsa della città per l’intelligenza, per la bellezza dei sentimenti, per l’ingegno, per il senso profondo e il rispetto che hanno della vita. Se la società degli adulti non prende atto di questo grande potenziale e se non si attrezza per non deludere le loro aspettative, preoccupandosi anzi di valorizzarli pienamente e al meglio, allora il rischio forte è quello di tradire il futuro di intere generazioni e, quindi, della stessa città. È questo il dato reale, al di là di ogni fumosa strategia. Si ha il dovere di capirli, di aiutarli a crescere e a inserirsi nel mondo del lavoro e delle professioni. Si ha innanzitutto il dovere di tenerli lontani dalle insidie della strada e delle amicizie compromettenti. Per questo, già da qualche anno, vado auspicando e sollecitando una legge per gli oratori, e parlo di oratori di tutte le confessioni religiose, per proporre ai giovani un sano e sicuro luogo di incontro, di confronto e di conoscenza».
Cosa manca maggiormente alla politica napoletana: la competenza, la moralità o l’efficienza?
«Non serve capire quello che manca, interessa piuttosto sapere che l’obiettivo per tutti resta il bene comune».
Alla Regione e alla Provincia si sono verificate due svolte, dopo anni di gestione del centrosinistra: vede soltanto sigle diverse al potere o c’è anche qualche segnale di concreto cambiamento?
«In una democrazia il giudizio viene espresso dall’elettorato alla luce dei fatti e del servizio reso alla collettività»
Il volontariato partenopeo appare in grande salute e spesso deve sostituire poteri e funzioni pubblici carenti. È auspicabile, secondo lei, che i volontari tornino ad essere un supporto e non una stampella?
«Ogni buon cristiano sa che alla fine saremo giudicati sull’amore, per questo è bello sapere che Napoli, in ragione del suo grande cuore, può contare su un volontariato serio, motivato e generoso».
La Chiesa napoletana in questo momento storico della città cosa potrà fare che ancora non fa o non ha fatto?
«Con spirito missionario stiamo lavorando sinergicamente, Clero, religiosi e laici, nell’attuazione del piano pastorale incentrato su famiglia e scuola, due riferimenti insostituibili nella formazione dei giovani e, quindi, nella costruzione della società nuova, alla quale la Chiesa di Napoli ha voluto dedicare il massimo della sua attenzione e del suo impegno con la indizione di un Giubileo per Napoli che, lungo l’intero anno, si articolerà in una serie di incontri che coinvolgeranno, su settori e temi specifici, tutti gli uomini di buona volontà che hanno a cuore il futuro della città e sono pronti, quindi, a offrire il loro contributo di esperienza, di idee, di suggerimenti e proposte, finalizzati al cambiamento e allo promozione dello sviluppo».
Della sua esperienza napoletana qual è il giorno o l’episodio che porta nel cuore?
«Sono tanti gli episodi belli ed emozionanti che ho vissuto da quando sto a Napoli. Mi porto dentro la grande umanità, la generosità e la cordialità del popolo napoletano».

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