venerdì, giugno 11, 2010

Chi decide le notizie? interviene Franco Siddi segretario della Federazione nazionale della Stampa


Ddl intercettazioni: la privacy non può essere la scusa per negare la dinamica dei fatti e delle inchieste

(da Aesse 6 2010)

Le notizie sono un reato? No. La risposta non può essere che semplice e diretta. Ma per il Governo, che vuole imporre norme bavaglio all’interno del cosiddetto ddl intercettazioni, la realtà è un’altra e le notizie di cronaca giudiziaria, di fatto, debbono essere ritenute un reato e chi le diffonde deve risponderne con il carcere e con multe milionarie. Sulle inchieste giudiziarie si vuole introdurre, infatti, la regola irragionevole del silenzio fino all’apertura del dibattimento pubblico. Di molti misfatti, ma anche di ordinaria e tragica cronaca giudiziaria, non si dovrebbe sapere niente per anni.

Sul diritto di cronaca si sta giocando una partita pesante;
un disegno illiberale che vuol negare la conoscenza dei fatti di interesse pubblico da parte dei cittadini. Si tratta di una questione per nulla corporativa, ben più grave delle pene che si vogliono introdurre a carico di giornalisti e editori. È in gioco, infatti, non un loro privilegio ma la disponibilità di un’informazione, leale, libera e plurale. Ai cittadini non possono essere negate le notizie: dall’inchiesta su un potente, all’analisi degli atti di un procedimento che magari ha mandato in carcere un innocente (dal padre dei bambini di Gravina morti in un tragico gioco, al tifoso scambiato per un teppista), all’informazione essenziale su scandali sanitari (i fatti della casa di cura Santa Rita di Milano), o su appalti facilitati e presunte tangenti (come nel caso Anemone).

Come scusa per intervenire, per la terza volta nelle ultime tre legislature (capitò anche con il ddl Mastella) si invoca la
tutela della privacy. Se fosse questo il problema basterebbe affrontarlo subito e con buon senso, come anche i giornalisti chiedono già da tempo. Si istituisca il Giurì per la lealtà dell’informazione che possa pronunciarsi per i casi di effettiva violazione della riservatezza delle persone entro tre/cinque giorni dall’esposto. Certo, qualche abuso c’è stato ma questo non può diventare motivo di bavaglio, bensì di dotazione di idonea strumentazione per il rispetto di valori intangibili della persona. E ancora: è buon senso o cosa irragionevole introdurre in un procedimento giudiziario un’udienza filtro (con partecipazione di accuse e difesa) che stabilisca ciò che va depositato e quindi diventa pubblico e quanto invece va stralciato dal fascicolo o custodito con assoluta riservatezza? Solo allora si potrebbe parlare di violazioni. Il Sindacato dei giornalisti finora ha incontrato, su questi punti, solo muri di silenzio.

Ma la giustizia non è separata rispetto al popolo. Per Costituzione è amministrata in nome del popolo.
Come e perché negare la dinamica dei fatti e delle inchieste? Negare i fatti ci riporta a tempi bui e a situazioni oscure. Le notizie da pubblicare – va ribadito con nettezza – non le possono decidere i Governi. Basterebbe solo un po’ di buon senso per fare le cose giuste. Il Senato, e poi la Camera, hanno tempo e modo, se vogliono, per recuperare senso della verità e della ragione.

Franco Siddi

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