domenica, aprile 25, 2010

La vicenda di Arpaise: un’occasione per riaprire o per chiudere i manicomi?


A giorni si terrà la gara d’appalto per ristrutturare la struttura psichiatrica (SIR) di Arpaise nata per ospitare i pazienti appena usciti dai manicomi: struttura che da tempo le linee guida nazionali e regionali sulla salute mentale prescrivono di sostituire con altre di piccole dimensioni come le case-famiglia più idonee a reinserire i malati nella società. In base a quali motivazioni “tecniche”, dunque, i vertici della Asl su pressione del prefetto di Benevento e del sindaco di Arpaise hanno deciso di investire in tutta fretta circa 140.000 euro per ristrutturare una struttura di tipo “manicomiale” destinata ad essere chiusa perché obsoleta dal punto di vista psichiatrico?”

Questi alcuni degli interrogativi sollevati nel corso della conferenza stampa dal titolo “La vicenda di Arpaise : un’occasione per riaprire o per chiudere i manicomi?” promossa dalla nostra associazione “La Rete sociale” presso il Palazzo del Volontariato, cui hanno partecipato oltre a giornalisti, medici e infermieri anche numerosi pazienti fornendo testimonianze (che saranno riportato nella pagina “Storie di ordinaria follia” del nostro blog)

Testimonianze che danno ragione a chi ha redatto il “progetto obiettivo per la tutela della salute mentale in Campania (approvato con delibera di giunta del 20 giugno 2003) sostenendo che le SIR come quella di Arpaise vanno abolite perché nella maggioranza dei casi sono manicomi con la porta aperta: sono, cioè, strutture totalizzanti di tipo “sanitario”gestite da medici e infermieri, dove si perde la privacy e l’identità, dove la permanenza – per legge non superiore a 2 anni per evitare la cronicizzazione della malattia – diventa spesso decennale anche per 30enni e 40enni che potrebbero essere recuperati e, invece, stanno lì “parcheggiati” accanto a 80enni malati cronici

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CHE COSA PRESCRIVE LA LEGGE

Le SIR come quella di Arpaise sono superate a causa delle loro dimensioni e delle metodologie adottate per trattare i pazienti: “custoditi” più che curati e riabilitati. L’unica sostanziale differenza con i manicomi è che i malati venivano resi inoffensivi legandoli ai letti, mentre oggi vengono sedati con i farmaci e – nel caso di Arpaise – possono andare al bar di fronte a prendere il caffè. Ma non altro: perché nel paese non c’è altro. Sedare, però, non significa curare. Né attraversare una strada – sempre la stessa strada – significa vivere da persona normale. Senza terapie psicologiche e riabilitative, senza rapporti costanti con la famiglia, gli amici e il proprio territorio, non c’è guarigione, né reinserimento nella vita sociale. Al contrario: anche una persona “normale” messa a fare niente dalla mattina alla sera, privata di svaghi e distrazioni diventerebbe pazza.
Ecco perché le linee guida regionali dicono che strutture come quella di Arpaise – dove non esiste progettualità riabilitativa, situata in un paese minuscolo e isolato – vanno chiuse, e che le “strutture residenziali devono essere dimensionate sul “modello casa”, devono garantire agli ospiti spazi privati, essere ubicate nei contesti urbani ed integrate nelle comunità”.

E che l’impostazione sia giusta lo hanno dichiarato i protagonisti in conferenza stampa parlando coraggiosamente in pubblico, senza vergogna, della propria esperienza: “Ho vissuto per 8 anni nella Sir di Arpaise passando le giornate buttato sul letto e facendomi pipì addosso – ha raccontato Luigi, 38 anni – Ma ora dopo un anno passato nella casa famiglia di Benevento sono rinato e ad Arpaise non ci voglio tornare più”. Infatti, vivendo in un normale appartamento dove conduce vita in comune con ospiti della stessa età seguito quotidianamente da operatori di comunità e assistenti sociali che insegnano a gestire i propri soldi, a fare la spesa, a pulire la casa e a cucinare, Luigi, diventato autonomo, fra poco tornerà a vivere in famiglia, lasciando il suo posto a qualcun altro da riabilitare.

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Luigi, uno degli ospiti della casa-famiglia di Benevento

Ecco perché il Dipartimento di Salute Mentale su sollecitazione della Rete Sociale e sulla scorta di questi risultati, ha chiesto alla dirigenza della Asl di affittare ed eventualmente comprare 2 case famiglia appartenenti al patrimonio comunale di Benevento – per le quali il sindaco Fausto Pepe ha già dato la sua disponibilità – e l’uso di una villetta già utilizzata in passato a Puglianello: strutture nelle quali si potrebbero portare nel giro di qualche settimana o di qualche mese la quasi totalità dei pazienti di Arpaise ora ospitati temporaneamente in una ex struttura ospedaliera di Sant’Agata dei Goti per un allagamento la cui riparazione richiede lavori non realizzabili con i malati all’interno.

L’INCIDENTE CHE HA SCATENATO IL PUTIFERIO

Un allagamento che ha scatenato un putiferio: perchè anziché divenire occasione per chiudere la SIR di Arpaise portando avanti iniziative più valide già avviate, sta diventando, invece, pretesto per ristrutturare e riaprire una struttura manicomiale che avrebbe già dovuto essere abolita da tempo. Ma ciò che è più grave è che si è arrivati a questa decisione cavalcando un malcontento frutto di disinformazione. Il malcontento di una piccola parte del personale che non ha voglia di andare fino a Sant’Agata dei Goti, e la paura di familiari e pazienti che la sede di Sant’Agata possa divenire un’alternativa definitiva ad Arpaise: così è nata una protesta della quale il sindaco di Arpaise ha deciso di farsi portavoce mobilitando addirittura il prefetto e i commissari della Asl per ottenere l’immediato appalto di ristrutturazione dell’immobile. “Così entro 4 mesi i pazienti ritorneranno nella nostra comunità” ha dichiarato soddisfatto il sindaco di Arpaise alla stampa: ma come fa a sostenere che anche i pazienti lo saranno altrettanto? Dalle testimonianze raccolte (e riproposte nelle “Storie di ordinaria follia”) è chiaro il contrario: chi è riuscito ad andarsene da Arpaise e a provare il sapore di una vera riabilitazione in una casa-famiglia, nella SIR di Arpaise non ci vuole più tornare.

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A tavola con gli amici della casa-famiglia di Benevento

E lo stesso vale per il gruppetto di familiari che hanno inscenato la protesta sotto la prefettura, ma ieri hanno partecipato alla nostra conferenza stampa e chiesto solidarietà alla nostra associazione: stanno intuendo che l’alternativa Arpaise-Sant’Agata dei Goti non esiste, che è stata solo uno spauracchio e che al contrario, questa poteva essere l’occasione per dare a ogni paziente la migliore sistemazione possibile. Anche perché hanno compreso che non esiste un’unica soluzione che va bene per tutti ma che le soluzioni vanno individuate caso per caso. Il che significa che alcuni di questi casi, per esempio, potrebbero ancora avere bisogno di una SIR, ma così come è prevista dalle linee guida regionali: cioè, un vero luogo di cura e riabilitazione per 8 – 10 pazienti da collocare sul territorio accanto ai centri di salute mentale dove il personale possa seguirli monitorando i progetti riabilitativi che dovrebbero essere fatti a misura di ciascuno di loro. Il che significa battersi per riportare la Sir da Arpaise a Benevento dove avrebbe dovuto sempre stare per legge: cioè, nel Centro di Salute Mentale, in una città dove non mancano le occasioni di reinserimento sociale e lavorativo e dove è possibile per i malati compiere il passo successivo: entrare in una casa-famiglia o in un gruppo appartamento protetto 24 ore su 24.

COME EVITARE SPRECHI DI DENARO PUBBLICO

A DANNO DEI MALATI MENTALI

Insomma di soldi c’è bisogno per fare le cose bene e oggi, con la crisi in atto, non ce n’è abbastanza per sprecarli. E le grosse strutture pubbliche o private – come quella di Arpaise o le case di cura convenzionate – impegnano cifre enormi di gestione per scarsi risultati: fino a 4.000 euro a paziente al mese. Più o meno la stessa cifra con cui si gestiscono 4 o 5 ospiti di una casa famiglia.

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Sul balcone della casa-famiglia di Benevento

Ecco perché abbiamo ritenuto doveroso sollevare il problema e fornire una più corretta informazione affinché, alla luce dei fatti esposti, l’Asl possa utilizzare gli strumenti di autotutela a disposizione della pubblica amministrazione per rivedere l’impostazione di una gara d’appalto che, altrimenti, già si profila come l’ennesimo spreco di denaro pubblico. Infatti, la decisione di ristrutturare la SIR di Arpaise è stata presa in contrasto non solo con le linee guida regionali, con quelle sostenute dal Dipartimento di Salute Mentale e condivise dall’Associazione di Familiari, ma è stata presa da figure istituzionali quali un sindaco, un prefetto e un commissario Asl che meritano tutto il rispetto ma che non hanno alcuna competenza tecnica per stabilire come e dove va ricoverato un malato di mente: pertanto, non possono fare “promesse” – come quella che “fra 4 mesi i pazienti torneranno nella SIR di Arpaise” – che non sono in grado di mantenere.

DAL BLOG ilenzuolibianchi.wordpress.com

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