domenica, gennaio 24, 2010

Il lavoro dell’obbligo

Non si contrasta la dispersione scolastica mandando i quindicenni a lavorare. L’assolvimento dell’obbligo di istruzione in apprendistato – approvata l’altro giorno con un emendamento in commissione lavoro della camera – è una risposta sbagliata, poco meditata e affrettata a un problema vero.

È vero che sono quasi 130mila in Italia i giovani al di sotto dei sedici anni che non frequentano né la scuola, né la formazione professionale né si trovano in condizione lavorativa. Una piaga sociale che il paese stenta a superare.
Come si è dimostrato in questi ultimi sei anni, dopo l’avvio della sperimentazione dei percorsi triennali di formazione professionale che dal 2006 concorrono anche all’assolvimento dell’obbligo, al crescere dell’offerta formativa si è andata fortemente contraendo la platea dei giovani in dispersione.
Oggi sono quasi 150mila i giovani che assolvono all’obbligo attraverso la formazione professionale, quintuplicando l’utenza che nel 2003 era di soli 30mila ragazzi.
Nelle regioni in cui si è maggiormente investito in formazione e si è strutturato un sistema stabile e qualificato i risultati di forte contrazione della dispersione sono arrivati. Il Veneto, il Piemonte, la Lombardia hanno fatto progressi rilevanti nel consentire l’accesso a questi percorsi di assolvimento dell’obbligo di istruzione. Nel Lazio, tra il 2003 e il 2007, la dispersione è calata dal 16 al 12 per cento.
La strada giusta è quindi aumentare l’offerta formativa. Tuttavia, il governo sta facendo l’esatto contrario: ha tagliato sia nel 2009, sia nella Finanziaria del 2010, 40 milioni di euro di trasferimenti alle regioni per la realizzazione dei percorsi di assolvimento dell’obbligo nella formazione professionale riducendo di oltre il 16% lo stanziamento erogato. Da un lato viene evocato il problema della dispersione, dall’altro si sta facendo di tutto per ampliarlo.
Dal punto di vista dei contenuti formativi il provvedimento presenta non minori contraddizioni. Innalzare i saperi e le competenze dei giovani in modo da costruire solide basi professionali per il loro futuro lavorativo è una sfida particolarmente impegnativa per l’Italia visti i bassi livelli di apprendimento che vengono di anno in anno registrati dall’Ocse- Pisa. L’elevazione dell’obbligo di istruzione e l’allargamento alla formazione professionale degli strumenti per conseguirlo non sono stati meri provvedimenti burocratici, ma la via concreta per innalzare i saperi e le competenze (come specificato dal decreto ministeriale 139/2007) linguistiche, logico- matematiche, tecnico-scientifiche, storico-sociali, cercando di mettere tutti i giovani nella condizione di affrontare con adeguatezza le sfide poste dalla globalizzazione dei mercati e dall’economia della conoscenza.
È difficile immaginare che le imprese, in genere di piccole e piccolissime dimensioni, che operano con contratti di apprendistato possano dotarsi di una organizzazione, una progettualità formativa e figure professionali per assolvere a questo compito. Tanto più, sembra sbagliato immaginare che questa sia la strada adeguata per migliorare le competenze se si guarda a come oggi la stessa piccola impresa sta svolgendo il proprio compito formativo. Le statistiche ci dicono, infatti, che solo il 17% delle imprese che attivano contratti di apprendistato svolgono la formazione standard che è costitutivamente prevista per questi contratti; si tratta nella maggior parte dei casi di 120 ore in affiancamento con un tutor. Se una piccolissima parte di imprese oggi assolvono al loro compito formativo standard come si può immaginare che possano far apprendere quei saperi e competenze che la legge indica per i percorsi dell’obbligo? Il rischio è che si butti all’aria ogni standard di apprendimento codificato e si assuma un apprendimento addestrativo tipico di ogni attività lavorativa semplice (perché di queste si tratta in riferimento ai giovani di questa età) come elemento di riferimento, ignorando che nella società della mobilità del lavoro queste forme di conoscenza sono assolutamente inadeguate anche in ragione del fatto che rendono difficoltoso ogni possibile accesso alla formazione continua per insufficienti requisiti di base.
Infine, c’è un problema giuridico.
In Italia nel dicembre 2006 è stato innalzato l’obbligo scolastico a 16 anni e, contestualmente, alla stessa età l’ingresso al lavoro. Infatti, nell’emendamento approvato, non ci si preoccupa di verificare il conflitto di norme che si viene a creare, non abrogando o modificando quanto previsto dal comma 622 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, legge finanziaria 2007, nel quale si innalza l’obbligo d’istruzione a 16 anni e si prevede che l’età per l’accesso al lavoro sia contestualmente elevato a 16 anni.
Infatti, la natura di contratto di apprendistato a causa mista, in quanto prevede l’alternanza lavoro-formazione, non può essere scambiata con il diritto all’istruzione e questo sostanzialmente per due motivi.
Il primo, se è pur vero che la formazione nel contratto di apprendistato costituisce un elemento essenziale dello stessa, non preclude e anzi non si sostituisce all’adempimento dell’obbligo formativo. In secondo luogo l’istruzione è un diritto al quale si accede gratuitamente, realizzando il principio costituzionale di cui all’articolo 34, mentre, il contratto di apprendistato, prevede una retribuzione per il giovane apprendista, che è esclusa per chi adempie all’obbligo scolastico, perché, pur ammettendone lo scopo peculiare, l’apprendista svolge un vero e proprio lavoro, al contrario dello studente.
Insomma una norma astratta, pasticciata e inefficace, che deve essere radicalmente modificata.

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