pubblico l'appassionata riflessione di Filippo Pugliese, presidente del consiglio nazionale del Centro Turistico Acli sull'anniversario della caduta del muro di Berlino ed i legami di quell'epocale avvenimento con l'attualità globale. (po)
“Sulle mura Giosuè è salito per dare il segnale ai suonatori e le alte mura di Gerico le trombe hanno fatto crollare”. Riecheggiano attuali le parole di questo spiritual, ma di fronte alle molte situazioni nel mondo, che vedono ancora alti muri ergersi a dividere l’umanità, esse sembrano parole inascoltate.
Si celebrano i vent’anni della caduta del muro di Berlino. E’ bene che la Storia ricordi e chiarisca quali siano state le ragioni della sua costruzione, quali gli statisti che hanno operato per la sua caduta e quali l’hanno soltanto subita o addirittura avversata. Gorbaciov meriterebbe migliore gratitudine, Kennedy quantunque si fosse proclamato cittadino berlinese alzava altri muri in Vietnam, Reagan muoveva i fili, Mitterrand aveva timore della rottura degli equilibri internazionali, la Thatcher era contraria, Andreotti si diceva preoccupato, G.Bush era una cortina di gelo, Kohl spingeva la storia e Papa Woitywa la ispirava, l’Onu si adeguava. E’ bene che gli analisti politici studino i sommovimenti che da quella caduta si sono originati; è bene che vengano capite fino in fondo le ragioni che hanno portato nella vecchia Europa i venti di guerra, seguiti alla caduta del muro e al disfacimento del sistema comunista sovietico, e le nuove politiche che da allora i potenti della terra hanno imposto al mondo.
Nuove Nazioni si sono autodeterminate nella Vecchia Europa, antiche identità nazionali si sono riaffermate, nuove migrazioni hanno attraversato le brecce del muro caduto attratte dalle note libertarie suonate da Rostropovich nella notte di Berlino. Si sa, la libertà è una sirena ammaliatrice e il suo canto prima o poi sarà ascoltato. Continua intanto a suonare Rostropovich, così come continuano a squillare le trombe sulle alte mura di Gerico! Molti muri dovranno ancora cadere perché da quelle musiche si possa alzare un cantico nuovo a tracciare quella che B. Chatwin ha chiamato Le Vie dei Canti:“Gli uomini del tempo antico percorsero tutto il mondo cantando,chiamando le cose alla vita. Cantarono i fiumi, le montagne, le saline e le dune di sabbia. In ogni punto delle loro piste lasciarono una scia di musica. Avvolsero il mondo intero in una rete di canto; e infine, quando ebbero cantato la Terra si sentirono stanchi e si fermarono”.
Si celebra la caduta del muro di Berlino, ma altri muri restano in piedi. Nessuno parla, per esempio, del muro di Gerusalemme. Una costruzione in cemento armato, di garitte e filo spinato, che attraversa per trecento chilometri la Palestina, che divide una terra pure capace di poter accogliere due popoli e due stati, che segna profondamente il cuore di quanti credono e operano per l’unione e l’integrazione. Opera oscena che ferisce ancora di più perché quella è una terra di profonda spiritualità. Soluzione apparente di un problema , due popoli e due stati, che va affrontato con altri mezzi e altre politiche. Quel muro,invece, radicherà per anni nella cultura della divisione, della separatezza e della non comunicabilità generazioni di palestinesi e di ebrei già nati e cresciuti da sessant’anni nella cultura della contrapposizione e del nemico. Le Trombe di Gerico cominciarono a suonare da quelle parti, ma il muro della divisione è stato costruito recentemente,quando ancora gli ambasciatori mandati da Mosè in quella terra continuano a dire che in essa c’è latte e miele per tutti.
Era il dicembre del 1989 e mi trovavo a Gerusalemme per la manifestazione pacifista Time For Peace. Sembrava a noi pacifisti che il modo migliore per dare continuità alla caduta del muro di Berlino, avvenuta appena un mese prima, fosse quello di portare il grande messaggio di pace e di integrazione direttamente nei luoghi dove occorreva affermare con convinzione “due popoli due stati”. Fu come manifestare sull’orlo di un cratere e il solo aver agitato un drappo con i colori della bandiera palestinese scatenò l’ira di Dio da parte della polizia e dell’esercito israeliano, abituati a fronteggiare il nemico ma non a controllare una manifestazione. Mai avrei immaginato che vent’anni dopo, proprio nella Terra Promessa di Mosè e di Giosuè, il fallimento della politica avrebbe eretto un muro di trecento chilometri.
Nessuno parla del grande muro di settecento chilometri eretto da tempo in California per impedire agli immigrati clandestini latino-americani di passare dal Messico negli Stati Uniti. A cercare migliori condizioni di vita e una sopravvivenza non assicurata nei loro paesi di origine, dove hanno una sola alternativa: o morire di miseria o ingrossare le luride favelas di megalopoli quali Città del Messico e Rio De Janeiro, Passare il muro per loro è un azzardo perché anche lì, come ieri a Berlino-est, sono braccati dalla polizia; perché anche lì, come ieri a Berlino-est, sono attratti dal miraggio di migliori condizioni di vita. Certo, ieri a Berlino si scappava dalla dittatura, ieri e oggi dal Messico si fugge dalla miseria. Dov’è la differenza? E’ sicuramente legittimo oggi come ieri controllare gli accessi alla sovranità territoriale. Ma è certamente inaccettabile che in nome della sicurezza si costruiscano muri reali. Recentemente è stato chiesto al Congresso americano di ampliare quel muro. C’è da sperare che la lungimiranza di Obama sappia pensare altri mezzi che vadano oltre il muro.
Si festeggia la caduta del muro di Berlino in un Paese,la Germania, che ha saputo fare i conti col suo passato; in una città-simbolo che ha saputo reagire. Bene! Ma ci si chieda anche, per favore, quanti muri ideologici sono stati costruiti in questi vent’anni per impedire la contaminazione delle idee e delle culture, per ostacolare l’integrazione e l’inclusione sociale. Basta guardare l’Italia. Se negli ultimi anni non si è costruito un muro tra noi e i popoli del Mediterraneo è soltanto perché il cemento non tiene bene il mare.
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