Editoriale di Enrico Letta, pubblicato su «Europa» di martedì 24 febbraio.
E ora dobbiamo mettercela tutta. Abbiamo davanti cento giorni in cui possiamo realmente raggiungere gli obiettivi che hanno animato il dibattito dell'Assemblea costituente di sabato. Obiettivi che sono comuni a tutti quelli che vi hanno preso parte, qualunque decisione abbiano assunto. Obiettivi che sono sintetizzabili nel rilancio e nel successo del progetto del PD, come era emerso alle primarie del 14 ottobre del 2007.
Tante sono le priorità e i desideri per questi cento giorni. Due mi sembrano irrinunciabili.
Il primo riguarda la scommessa che abbiamo fatto di pensare che nella politica italiana del Duemila possa esistere ancora un grande partito politico, partecipato e democratico al suo interno, attraente ed interessante per il mondo esterno. Di tutte le scommesse che stavano dietro al 14 ottobre, questa è probabilmente la più difficile. Nella politica italiana, infatti, ci si è ormai abituati ad una democrazia senza partiti, perché tali non possono definirsi i movimenti e i soggetti politici che per buona parte la compongono. Plebiscitarismo, assenza di democrazia interna, leaderismi sfrenati: sono i tratti ai quali siamo assuefatti. Sembra quasi di vivere in un mondo in cui siano state portate a estrema conseguenza le idee che Simone Weil aveva espresso nel suo Manifesto per la soppressione dei partiti politici: ? I partiti sono un meraviglioso meccanismo in virtù del quale nessuno spirito dedica la sua attenzione allo sforzo di discernere negli affari pubblici il bene, la giustizia, la verità (?) Entrare in un partito equivale a non pensare?. Non possiamo arrenderci a questo esito. La politica tramite i partiti migliora il naturale egoismo dei singoli e contribuisce a rendere il sistema più giusto. Col PD abbiamo scommesso che lavorare per un partito moderno e utile alla società è possibile. Per questo i cento giorni che abbiamo davanti dovranno chiudere rapidamente la fase iniziale della vita organizzativa del partito e rendere possibile quello che tutti sabato hanno chiesto: un congresso vero con primarie partecipate. E' quello che faremo subito dopo le elezioni, è quello che è stato reso difficile finora anche dall'incompleto radicamento del partito, dei circoli e del tesseramento sul territorio. Quindi, l'organizzazione innanzitutto, e il riequilibrio tra Roma e i territori a favore di questi ultimi.
In secondo luogo, dobbiamo riuscire a definire un profilo di partito che colpisca gli elettori per la sua capacità di farsi carico della grande crisi economica e sociale del paese. Se c'era qualcuno che aveva ancora dubbi, credo che ormai essi possano essere definitivamente fugati. La crisi non passerà da sola. L'ulteriore carico di preoccupazione che quest'ultima settimana ha portato, sia sul versante bancario e finanziario, sia su quello economico e sociale, lascia intuire un allungamento e un approfondimento delle caratteristiche della crisi. E' netta la percezione, ormai, che nulla sarà come prima. Cambieranno molte dinamiche di relazioni economiche e di reazioni sociali. Ma cambierà molto anche nel sistema politico e nel rapporto tra i partiti e la società. Sbaglia Berlusconi a ostentare tranquillità. Sbaglia il governo a non mettere in campo risposte all'altezza delle crescenti difficoltà. Per il PD le risposte alla crisi devono diventare un'ossessione, deve essere il tema sul quale costruiamo il profilo di un moderno movimento popolare capace di farsi carico dei problemi dei lavoratori, delle famiglie, delle imprese. E in grado, attraverso questa quotidiana condivisione delle fatiche della crisi, elaborare e mettere in pratica, là dove governiamo, risposte efficaci e durature. Questo vuol dire superare quella dicotomia tra interessi di partito e interesse generale che per Simone Weil era centrale nella sua critica ai partiti.
In concreto, vuol dire viaggiare per l'Italia della fatica, ascoltare e condividere i segnali della difficoltà, mettersi a studiare soluzioni originali e straordinarie. Questo oggi gli italiani si aspettano da noi. Vogliono vedere se dopo la paura di questi giorni abbiamo imparato la lezione e se effettivamente sappiamo tutti mettere da parte qualunque altra considerazione rispetto a questo irrinunciabile obiettivo.
Su queste linee credo debba svilupparsi il sostegno di ognuno di noi all'impegno di Dario Franceschini per il successo del PD.
E ora dobbiamo mettercela tutta. Abbiamo davanti cento giorni in cui possiamo realmente raggiungere gli obiettivi che hanno animato il dibattito dell'Assemblea costituente di sabato. Obiettivi che sono comuni a tutti quelli che vi hanno preso parte, qualunque decisione abbiano assunto. Obiettivi che sono sintetizzabili nel rilancio e nel successo del progetto del PD, come era emerso alle primarie del 14 ottobre del 2007.
Tante sono le priorità e i desideri per questi cento giorni. Due mi sembrano irrinunciabili.
Il primo riguarda la scommessa che abbiamo fatto di pensare che nella politica italiana del Duemila possa esistere ancora un grande partito politico, partecipato e democratico al suo interno, attraente ed interessante per il mondo esterno. Di tutte le scommesse che stavano dietro al 14 ottobre, questa è probabilmente la più difficile. Nella politica italiana, infatti, ci si è ormai abituati ad una democrazia senza partiti, perché tali non possono definirsi i movimenti e i soggetti politici che per buona parte la compongono. Plebiscitarismo, assenza di democrazia interna, leaderismi sfrenati: sono i tratti ai quali siamo assuefatti. Sembra quasi di vivere in un mondo in cui siano state portate a estrema conseguenza le idee che Simone Weil aveva espresso nel suo Manifesto per la soppressione dei partiti politici: ? I partiti sono un meraviglioso meccanismo in virtù del quale nessuno spirito dedica la sua attenzione allo sforzo di discernere negli affari pubblici il bene, la giustizia, la verità (?) Entrare in un partito equivale a non pensare?. Non possiamo arrenderci a questo esito. La politica tramite i partiti migliora il naturale egoismo dei singoli e contribuisce a rendere il sistema più giusto. Col PD abbiamo scommesso che lavorare per un partito moderno e utile alla società è possibile. Per questo i cento giorni che abbiamo davanti dovranno chiudere rapidamente la fase iniziale della vita organizzativa del partito e rendere possibile quello che tutti sabato hanno chiesto: un congresso vero con primarie partecipate. E' quello che faremo subito dopo le elezioni, è quello che è stato reso difficile finora anche dall'incompleto radicamento del partito, dei circoli e del tesseramento sul territorio. Quindi, l'organizzazione innanzitutto, e il riequilibrio tra Roma e i territori a favore di questi ultimi.
In secondo luogo, dobbiamo riuscire a definire un profilo di partito che colpisca gli elettori per la sua capacità di farsi carico della grande crisi economica e sociale del paese. Se c'era qualcuno che aveva ancora dubbi, credo che ormai essi possano essere definitivamente fugati. La crisi non passerà da sola. L'ulteriore carico di preoccupazione che quest'ultima settimana ha portato, sia sul versante bancario e finanziario, sia su quello economico e sociale, lascia intuire un allungamento e un approfondimento delle caratteristiche della crisi. E' netta la percezione, ormai, che nulla sarà come prima. Cambieranno molte dinamiche di relazioni economiche e di reazioni sociali. Ma cambierà molto anche nel sistema politico e nel rapporto tra i partiti e la società. Sbaglia Berlusconi a ostentare tranquillità. Sbaglia il governo a non mettere in campo risposte all'altezza delle crescenti difficoltà. Per il PD le risposte alla crisi devono diventare un'ossessione, deve essere il tema sul quale costruiamo il profilo di un moderno movimento popolare capace di farsi carico dei problemi dei lavoratori, delle famiglie, delle imprese. E in grado, attraverso questa quotidiana condivisione delle fatiche della crisi, elaborare e mettere in pratica, là dove governiamo, risposte efficaci e durature. Questo vuol dire superare quella dicotomia tra interessi di partito e interesse generale che per Simone Weil era centrale nella sua critica ai partiti.
In concreto, vuol dire viaggiare per l'Italia della fatica, ascoltare e condividere i segnali della difficoltà, mettersi a studiare soluzioni originali e straordinarie. Questo oggi gli italiani si aspettano da noi. Vogliono vedere se dopo la paura di questi giorni abbiamo imparato la lezione e se effettivamente sappiamo tutti mettere da parte qualunque altra considerazione rispetto a questo irrinunciabile obiettivo.
Su queste linee credo debba svilupparsi il sostegno di ognuno di noi all'impegno di Dario Franceschini per il successo del PD.
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