domenica, dicembre 21, 2008

Democratici: nostalgia dell'Unione (Diamanti dixit)

ILVO DIAMANTI: "IL NON LUOGO DEI DEMOCRATICI".
da Repubblica

La ragione del disorientamento del Pd e del centrosinistra è, forse, più semplice di quel si pensa, anche se sgradevole. Molto semplicemente: nostalgia dell´unità. O meglio: dell´Unione. Un sentimento diffuso fra gli elettori di centrosinistra, che non si sono rassegnati davvero alla scelta di correre da soli. O, almeno, ci hanno ripensato. Non intendiamo dare giudizi retrospettivi, ma è ciò che emerge dagli orientamenti degli elettori, rilevati da un sondaggio, condotto nei giorni scorsi su un campione rappresentativo (di 1500 casi) da Demos (per i dettagli: www.demos.it).
1. Per quel che riguarda le intenzioni di voto, le stime confermano le tendenze indicate da altri sondaggi in questa fase (Ipsos, Ispo, Swg). In particolare: a) il centrodestra mantiene il distacco emerso alle elezioni di aprile. Il Pdl si attesta oltre il 37%, la Lega ha scavalcato largamente il 9%. Mentre a centrosinistra il Pd è scivolato sotto il 28% e l´Idv/lista Di Pietro ha più che raddoppiato il suo peso elettorale, raggiungendo la Lega. Fra gli altri, l´Udc tiene la sua base, intorno al 6%, mentre le forze della Sinistra (Rc, Verdi ecc.) mostrano segni di recupero.
2. Se consideriamo il grado di vicinanza ai partiti espresso dagli elettori, emerge un dato singolare quanto significativo. Il Pd intercetta più voti che simpatie. Infatti, la quota di elettori che lo sente "vicino" è, di poco, inferiore rispetto alle intenzioni di voto (26,7%). Al contrario della lista Di Pietro, il cui elettorato "amico" è doppio (19%) rispetto alle intenzioni di voto. Il dato, peraltro, riflette quanto avviene nel centrodestra, dove l´elettorato "amico" della Lega è di tre volte superiore alle intenzioni di voto, mentre il peso degli elettori vicini al Pdl risulta sensibilmente inferiore all´incidenza elettorale (di 6 punti percentuali). In altri termini: c´è una quota di elettori che, oggi, voterebbe Pd e Pdl "nonostante": per inerzia o per calcolo, mentre "il cuore" e l´istinto li spingerebbe altrove.
3. Tuttavia, non è possibile porre Pd e Pdl sullo stesso piano. I problemi del Pdl riflettono l´unificazione ancora incompiuta fra i due partiti fondatori, Fi e An. Inoltre, il Pdl (secondo i sondaggi) non ha perduto consensi elettorali dopo il voto di aprile. Il Pd sì. E parecchi. La tentazione di chiamare in causa la "questione morale" che ha investito le amministrazioni locali di centrosinistra è comprensibile e, in qualche misura, fondata. Ma il paragone con il 1992 ci pare improponibile. Allora si trattò di una crisi di sistema, che investì i partiti di governo, a livello centrale. Oggi le inchieste coinvolgono l´opposizione, già fiaccata dal voto. Alla periferia. La ragione principale del disamore verso il Pd, a nostro avviso, è diversa. Per citare Gian Enrico Rusconi (sulla Stampa): «La questione morale è solo un sintomo dell´impotenza politica».
4. Parafrasando Marc Augé, diremmo che il Pd appare ancora un "non luogo" politico. Un posto di passaggio, un poco anonimo. Non una casa stabile. Capace di fornire identità e memoria. Lo suggerisce l´orizzonte dei riferimenti politici espresso dagli elettori del Pd, tutt´altro che unitario e autosufficiente. Il 30% di essi si dice vicino all´Idv, il 10% all´Udc e il 22% ai partiti della Sinistra. Tra gli elettori che votarono per il Pd nello scorso aprile, la percentuale degli amici di Di Pietro sale di circa 4 punti percentuali. La stessa misura, circa, di quanti, dopo le elezioni, hanno spostato la scelta di voto dall´Idv al Pd. Ciò suggerisce che l´elettorato del Pd sia contiguo a quello dell´Idv e si sovrapponga ad esso in molti punti.
Ma l´elettorato del Pd si sente vicino anche agli altri partiti di opposizione. All´Udc e alla Sinistra radicale. Tanto che li vorrebbe alleati. In particolare, oltre il 50% degli elettori vicini al Pd vorrebbe allearsi con Di Pietro, il 37% con l´Udc, altrettanti con la Sinistra radicale. Il 39%, per la verità, preferirebbe che il Pd continuasse la sua marcia solitaria, ma circa un terzo di essi accetterebbe di allearsi con le altre forze di opposizione. In particolare con l´Idv e l´Udc.
5. Il principale problema del Pd, a nostro avviso, richiama, dunque, la difficoltà di delimitare con chiarezza il proprio "terreno di caccia". I suoi elettori - potenziali e reali - continuano a immaginarsi parte di un´area più ampia, a cui partecipano gli alleati di ieri: la Sinistra e soprattutto Di Pietro. Ma anche l´Udc. La prospettiva a cui Veltroni (e non solo lui) intendeva sfuggire quando, nello scorso gennaio, annunciò l´intenzione di far correre da solo il Pd. Naturalmente, le obiezioni a questa lettura sono immediate quanto legittime: a) l´Unione è improponibile; la sua fine è stata sancita dal risultato deludente del 2006 e dall´esperienza controversa ed estenuante del governo Prodi; b) i riferimenti di programma e di valore fra i partiti di opposizione erano e restano distanti e, talora, incompatibili; c) il percorso del Pd è appena partito, occorre attendere perché si radichi fra gli elettori.
6. Tuttavia, è evidente la perdita di appeal del Pd da quando si è affacciato sulla scena politica. Nei primi mesi dell´anno il suo elettorato potenziale era molto più ampio. Di circa 20 punti percentuali. È, peraltro, comprensibile anche la ragione "politica" di questo sfaldamento: l´incapacità di andare "oltre" Berlusconi. Lo slittamento di una parte dei suoi elettori verso Di Pietro sottolinea, infatti, una domanda di opposizione "antiberlusconiana". Frustrante per chi (come noi) pensa a un´alternativa capace di esprimere le proprie specifiche ragioni. Il problema, purtroppo, è che Berlusconi stesso contrasta questo disegno. Perché, più di ogni altro contenuto, lui (la sua immagine, i suoi interessi) resta il principale collante e, al tempo stesso, la principale fonte di identità del governo e della maggioranza. Oggi più di ieri. Non solo perché la Lega fa di tutto per marcare le proprie differenze, per sottolineare la propria missione di "partito del Nord". Ma perché il Pdl, ancor più del Pd, appare una casa abitata da inquilini diffidenti, l´uno dell´altro. Nel centrodestra, così, coabitano in tanti, diversi più che mai. Ex democristiani e socialisti, federalisti, secessionisti e nazionalisti, liberisti e colbertiani, postfascisti (e nostalgici). Ultracattolici e libertini. Nordisti e sudisti. Antidipietristi e anticomunisti. Tutti insieme. È l´Unione di Destra. Tenuta insieme e identificata da Berlusconi. Il berlusconismo è, quindi, l´ideologia dominante della seconda Repubblica ma, al tempo stesso, una tecnica di coalizione. Il Pd, da solo, senza interpretare e coalizzare l´antiberlusconismo non andrà mai molto oltre il 30%. Il che significa, con questa legge elettorale: rassegnarsi all´opposizione eterna.

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