giovedì, novembre 13, 2008

La Corte Europea condanna l'Italia per l'età pensionabile delle donne


ROMA - La Corte di Giustizia Europea ha condannato l'Italia per il regime pensionistico dei dipendenti pubblici che prevede che le donne vadano in pensione a 60 anni, mentre gli uomini a 65. Pronunciandosi sulla base di un ricorso della Commissione Europea, la Corte del Lussemburgo osserva che viene così violato "il principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore". Infatti la pensione viene calcolata, osserva la Corte, sulla base degli anni di servizio prestati e in base all'ultimo stipendio del dipendente pubblico. E quindi, costringendo le donne ad andare in pensione cinque anni prima degli uomini, le si condanna inevitabilmente a percepire una pensione inferiore. La Corte ha respinto l'argomentazione italiana secondo la quale la fissazione di un'età diversa a seconda del sesso è giustificata dall'obiettivo di eliminare discriminazioni a danno delle donne. Infatti andare in pensione prima, ritengono i giudici lussemburghesi, "non compensa gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici donne e non le aiuta nella loro vita professionale né pone rimedio ai problemi che possono incontrare nella loro vita professionale". Pertanto la legge 23 ottobre 1992 n.421, che definisce il regime pensionistico dei dipendenti pubblici, andrebbe riformata, dal momento che ha istituito "un regime professionale discriminatorio", e viola il principio generale della parità di trattamento, garantito dall'art.141 CE (ma anche dalla Costituzione italiana).

Una decisione davvero opportuna, commenta la sociologa Chiara Saraceno: "Sono assolutamente d'accordo con quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea, l'ho detto anche in pubblico, provocando reazioni non sempre positive. L'Italia è rimasta tra i pochi paesi a mantenere questa discriminazione. Certo, è vero che bisogna equiparare l'età della pensione, a maggior ragione nel privato, non solo nel pubblico, ma bisogna anche riconoscere a quanti si occupano della cura dei piccoli e delle persone non autosufficienti perlomeno i contributi figurativi, oltre che venir loro incontro con servizi adeguati". Mentre in Italia al momento i contributi figurativi latitano: "Vengono riconosciuti solo tre mesi per ogni figlio, una cosa ridicola", osserva la Saraceno. "In Germania danno fino a un anno di contributi figurativi per ciascun figlio: è giusto, si riconosce a ciascuno quello che ha investito. Non è certo con la diversa pensione che si compensa il lavoro di cura: anzi, così, una donna rimane cornuta e mazziata, perché investe il suo tempo per prendersi cura degli altri e poi ha anche una pensione inferiore. Questa norma in Italia resiste solo perché non abbiamo servizi, e perché si voleva garantire il lavoro di cura ai mariti che in genere sono un po' più vecchi, e quindi vanno in pensione prima delle mogli. Ma adesso, con la riforma del sistema previdenziale, non è proprio più possibile mantenerale: le donne si ritroverebbero con una pensione davvero bassa lasciando il lavoro prima".

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