mercoledì, novembre 19, 2008

Federalismo a ogni costo?



La legge delega sul federalismo fiscale mette sulle spalle del cittadino gli oneri della riforma

(da Aesse 11 2008)

Per lungo tempo il dibattito sul federalismo fiscale si è concentrato sull’opportunità della sua introduzione nel nostro Paese.

Oggi, chiusa questa fase, la discussione si concentra sulle modalità di costruzione del futuro sistema fiscale italiano su base federale.

Lo schema di Legge delega varato dal Governo costituisce un momento rilevante, ma la sua importanza va attualmente ricondotta più al suo ruolo di pietra conclusiva della prima fase del dibattito “federalismo fiscale sì – federalismo fiscale no”, che non al suo ruolo di prima pietra della nuova fase di dibattito “federalismo fiscale come”.

Se, infatti, una legge delega fissa soltanto i principi direttivi di riforme che devono essere attuate con successivi decreti legislativi, nel presente caso siamo di fronte a un’indeterminatezza superiore alla media.

La logica del provvedimento appare la seguente: diamo un segnale che il processo sul federalismo fiscale procede spedito, anche se sui contenuti concreti non siamo ancora d’accordo su nulla o quasi.

Il timore che un’altra riforma all’italiana, ossia pensata più come segnale politico di breve periodo che non come reale cambiamento strutturale di medio-lungo periodo, comporti un aggravio di oneri per il cittadino è tutt’altro che infondata.

Fanno sorridere gli interventi di ministri ed esponenti politici sui giornali che evidenziano come con il federalismo fiscale ci guadagnerà il Nord, ma non ci perderà il Sud; ci guadagneranno le Regioni, ma non ci perderà lo Stato; ci guadagneranno i singoli Enti locali, ma non ci perderà la perequazione e la solidarietà tra i medesimi.

Posto che in economia nulla si crea e nulla si distrugge, se i vari organismi in cui si articola la struttura del nostro Paese (Stato, Regioni, Province, Enti locali) si divideranno tra chi ci guadagna e chi non ci perde, bisogna supporre che il surplus generato da una simile riforma federale dovrà essere messo dai cittadini.

Sui cittadini, per altro, rischiano di scaricarsi non solo ulteriori tasse, ma anche maggiori difficoltà a interagire con un sistema fiscale che credevamo già all’apice della sua ottusa complessità, ma che nei futuri scenari “federali” potrebbe riservare nuove sorprese.

Lo schema di legge delega tratteggia, infatti, la possibilità che, a fianco delle imposte “nazionali”, si abbiano, oltre alle già note addizionali, anche imposte regionali e comunali, talune fissate a livello centrale, altre di ispirazione regionale e altre ancora istituite dai singoli comuni.

Il rischio della “Babele fiscale” è concreto, con quel che ne consegue in termini di ingovernabilità del prelievo fiscale complessivo che alla fine va a gravare sul cittadino, nonché di complessità per chi possiede beni o interessi economici che insistono su più comuni o su più regioni.

Una riforma del sistema fiscale in senso davvero federale non dovrebbe essere improntata prevalentemente sul decentramento della potestà impositiva (ossia del potere di introdurre e regolamentare tributi), mai sul decentramento dell’incasso di imposte che possono essere nazionali (cosa che le renderebbe di più agevole gestione nell’ottica del contribuente).

Il vero federalismo fiscale sta nell’inversione dei flussi di cassa e, sotto questo punto di vista, è innegabile che presenta profili assai più incisivi e condivisibili la proposta avanzata dal così detto “movimento dei Sindaci” (i quali invocano una percentuale di gettito Irpef) che non la quadratura del cerchio benedetta dal Governo.

I timori del Sud vanno affrontati in modo serio: non promettendo l’impossibile risultato di una riforma dove vincono tutti (possibile solo a prezzo di una crescita della pressione fiscale complessiva), ma prevedendo un lungo e rassicurante periodo transitorio che traghetti in modo lento e graduale verso il nuovo sistema, dando a tutti il tempo di organizzarsi e, dove serve, cambiare mentalità, senza improvvisi contraccolpi oggettivamente non gestibili.

Tra risultati marginali o ininfluenti oggi e risultati veri e incisivi domani, credo non vi sia dubbio quale debba essere la scelta di chi si avvicina alla questione con spirito riformatore: il politico preferirà sempre l’uovo oggi, ma il Paese ha bisogno della gallina domani.

Enrico Zanetti

1 commento:

Anonimo ha detto...

good start