lunedì, agosto 25, 2008

Il cardinale e il federalismo: «Attenti, senza solidarietà non può esserci progresso»

Il cardinale e il federalismo: «Attenti, senza solidarietà non può esserci progresso» «Non si cresce se non insieme. E questo perché è evidente che il gap non favorisce lo sviluppo armonico e il progresso civile di tutto il Paese».
Lo dice il cardinale Crescenzio Sepe in un'intervista all'agenzia Asca, proprio mentre entra nel vivo il dibattito sul federalismo fiscale. «Nessuna elargizione e nessun privilegio, e soprattutto niente assistenzialismo — precisa l'arcivescovo di Napoli —. Quello che serve sono misure che facciano prevalere capacità, progettualità e risorse locali. Bisogna dare spazio ad una solidarietà elevata a sistema che, come più volte è stato detto, preveda strumenti e parametri di perequazione sociale ed economica, in maniera che tutte le aree siano messe nelle condizioni di costruirsi il proprio futuro. Potendo contare, laddove necessario, sulla solidarietà dei più forti e dei più fortunati, all'interno di una logica che faccia salvi gli interessi, la forza, l'immagine e l'unità del Paese».
«Senza rispolverare la vecchia questione meridionale», Sepe invoca una «inversione di tendenza, mettendo in campo una oculata e responsabile iniziativa che risulti una opportunità e non un ostacolo per le diverse comunità del Paese».
In questo quadro, le priorità della Chiesa saranno quelle di sempre: «L'attenzione, il sostegno, la vicinanza, la solidarietà, la condivisione della sofferenza del disagio, del bisogno e del dolore, l'aiuto ai più deboli, il rispetto degli ultimi, la centralità della persona umana sono incarnati nel dna di ogni buon cristiano». E da cristiano il cardinale sottolinea che «non si è nazione se non si praticano solidarietà e aiuto ai più svantaggiati», soprattutto «quando vi sono parti del territorio e aree che, per problemi storici e precarietà attuali, camminano a diversa velocità».
Una distanza che, proprio ieri, la Cgia di Mestre è tornata ad evidenziare attraverso uno studio relativo alle difficoltà dei Comuni italiani calcolate sul rapporto 2007 tra entrate proprie e spese correnti. Rispetto ad un saldo negativo medio nazionale per Comune pari a 1,132 milioni di euro, l'indagine rivela dati sconfortanti per la Campania, dove la media del saldo negativo per ciascuna amministrazione è di 2,723 milioni di euro, la situazione più grave di tutt'Italia. Non se la passa meglio la Puglia, dove la differenza tra entrate proprie e spesa corrente è di 2,518 milioni di euro, e la Basilicata, dove ogni Comune ha un saldo negativo tra entrate tributarie e spese correnti di 1,301 milioni di euro.
Scritto da Ugo Ferrero da il Corriere del Mezzogiorno

1 commento:

Anonimo ha detto...

«Il federalismo costerà a Napoli 850 milioni» PDF Stampa E-mail


Scritto da Salvo Sapio da il Mattino, 24-08-2008 06:59
Una voragine da un miliardo e mezzo di euro, un buco nero che potrebbe inghiottire i Comuni della Campania se dovesse passare la linea della maggiore autonomia finanziaria, prevista dalla bozza Calderoli sul federalismo.
Secondo uno studio della Cgia di Mestre (in base a dati Istat e del governo) i Comuni della Campania hanno un saldo negativo tra entrate proprie e spese correnti di un miliardo e cinquecentomila euro (1.500.628.000 per la precisione), penultima peggiore performance nazionale. Un dato allarmante perché la Campania ha un saldo negativo che è praticamente il doppio rispetto al terzultimo posto della Sardegna (l’ultimo posto è della Sicilia). I Comuni della Campania sono quelli, cioè, che maggiormente dipendono dai trasferimenti centrali e che meno sono capaci di produrre ricchezza propria. Ogni Comune campano ha (in media) un saldo negativo di due milioni e 723mila euro. Se la Campania ha il primo posto tra le regioni del Sud per le entrate proprie (settimo dato a livello nazionale), per le uscite la Campania è terza dietro Lombardia e Lazio che però hanno un saldo negativo di circa 200 milioni (circa un settimo del dato campano). Il focus sui cinque comuni capoluogo va, chiaramente, distinto in due livelli. Infatti, per le entrate proprie il dato totale di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno non è nemmeno la metà di quanto raccoglie Napoli da sola. Napoli ha un buco di 850 milioni di euro (849.927.000) frutto di 724 milioni di entrate proprie e oltre un miliardo e mezzo di euro di spese correnti. In pratica il Comune di Napoli copre con le proprie entrate solo il 46% delle spese totali, con una ricaduta su ogni cittadino di 872 euro, il costo che ognuno dovrebbe pagare al federalismo. «La bozza di federalismo fiscale rischia di far collassare i Comuni del Sud del Paese - spiega il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Botolussi - La maggiore autonomia finanziaria annunciata dal ministro Calderoli sarà difficilmente sostenibile dalle amministrazioni locali, in particolare da quelle del Mezzogiorno». Il Comune più virtuoso tra i capoluoghi è Caserta che copre con proprie entrate per il 79% delle spese, un dato che consente di ridurre a 215 euro la spesa pro capite. Il federalismo peserebbe molto di più per Avellino (377 euro per cittadino), il capoluogo irpino ha le entrate e le spese più basse della regione ma ferma al 60% la capacità di essere autonomo. Appena meglio Benevento (327 euro a testa) con un autonomia al 63,3%. Quindi Salerno che ha un saldo negativo di oltre 41 milioni ma che garantisce con proprie entrate per il 73,7% delle spese. La Campania resta comunque molto indietro. I dati fanno emergere un saldo negativo medio nazionale per comune pari a 1 milione 132 mila euro. In ogni caso la misura proposta dal Ministro Calderoli non farebbe «soffrire» solo il Sud. Perchè i saldi negativi comunali sono a dir poco «cosa di tutti gli italianì. In effetti, gli unici a far rilevare saldi positivi tra i comuni capoluogo di provincia sono: Belluno dove il saldo arriva a quota 1 milione 180 mila euro; Forlì con 1 milione 233mila di bilancio positivo e Biella con 630mila euro di saldo positivo. Questi gli unici tre comuni in cui le entrate proprie sono superiori alla spesa corrente.Ovvero quelli in cui il tasso di copertura della spesa corrente con entrate proprie supera il 100%. Ultimi comuni in questa graduatoria sono ancora una volta quelli del Sud, dove i tassi di copertura scendono vertiginosamente sotto a quota 50%