La gestione dei rifiuti più vicina all'interesse generale riutilizza anche i prodotti di scarto
Per comprendere le cause dell’emergenza rifiuti a Napoli e, più in generale, la gestione dei rifiuti in Italia, la parola chiave é “lobby” (gruppo di pressione).
A rendere accettabile o meno l’azione di lobbying sono le sue finalità e gli interessi che rappresenta. Le istituzioni politiche, quasi sempre prive di spina dorsale, ondeggiano da una parte o dall’altra, a seconda di chi spinge di più. A offrire le migliori performance muscolari sono di solito industriali, affaristi, associazioni a delinquere... ma anche sindacati, gruppi di cittadini e imprenditori onesti. Chi spinge di meno rimane fuori dal gioco.
L’emergenza napoletana, tanto assurda da sembrare apposita, mette in campo con forza soluzioni altrimenti inaccettabili. I contributi alle energie rinnovabili (che per l’80% vanno agli inceneritori), grazie all’imposizione dell’Europa, dovrebbero tornare ai giusti destinatari. Però la Finanziaria 2007 contempla il ripristino dei contributi agli inceneritori in caso di necessità. E agli occhi di tutti, quale necessità é più impellente del disastro campano?
Eppure, rispetto agli inceneritori, esistono soluzioni più rapide: con il “porta a porta” spinto si arriva in un mese al 60% di differenziata. E introducendo (come chiede il Wwf) una moratoria dell’usa e getta e dei materiali non riciclabili, ecco che il residuo diminuirebbe al punto da non giustificare più la costruzione degli impianti. Ma il “porta a porta” (con tante eccezioni) attecchisce sopratutto al nord. Non é un caso: nel nostro settentrione i gruppi industriali, affamati di materia prima-seconda, premono perché venga incrementata la differenziata.
Insomma, nel grande gioco del lobbying, alcune soluzioni combaciano con l’interesse dei cittadini, altre no. Ma spesso l’ago della bilancia é proprio la forza latente dei cittadini. Il loro interesse é legato a impatto ambientale e carico sui contribuenti: considerando questi fattori, il riciclo soppianta sia incenerimento che discarica.
Questa logica indica però una priorità anche rispetto al riciclo: il riuso, il quale si poggia sulle economie popolari dell’usato, ovvero rigattieri, rovistatori di cassonetti e negozi dell’usato conto terzi. Il settore dell’usato italiano fattura come un conglomerato di grandi imprese, impiega decine di migliaia di persone e toglie alle discariche centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti e potenziali rifiuti. Ma purtroppo é un comparto marginalizzato e in buona parte informale.
Se negozi in conto terzi, rom e rigattieri ambulanti si unissero tra di loro, nascerebbe finalmente una grande lobby del riuso, capace di rivendicare, tra le altre cose, l’accesso alle merci riusabili impropriamente conferite tra i rifiuti.
Tra le lobby in campo sarebbe la più popolare e indubbiamente la più vicina agli interessi di tutti.
Pietro Luppi da Aesse
Per comprendere le cause dell’emergenza rifiuti a Napoli e, più in generale, la gestione dei rifiuti in Italia, la parola chiave é “lobby” (gruppo di pressione).
A rendere accettabile o meno l’azione di lobbying sono le sue finalità e gli interessi che rappresenta. Le istituzioni politiche, quasi sempre prive di spina dorsale, ondeggiano da una parte o dall’altra, a seconda di chi spinge di più. A offrire le migliori performance muscolari sono di solito industriali, affaristi, associazioni a delinquere... ma anche sindacati, gruppi di cittadini e imprenditori onesti. Chi spinge di meno rimane fuori dal gioco.
L’emergenza napoletana, tanto assurda da sembrare apposita, mette in campo con forza soluzioni altrimenti inaccettabili. I contributi alle energie rinnovabili (che per l’80% vanno agli inceneritori), grazie all’imposizione dell’Europa, dovrebbero tornare ai giusti destinatari. Però la Finanziaria 2007 contempla il ripristino dei contributi agli inceneritori in caso di necessità. E agli occhi di tutti, quale necessità é più impellente del disastro campano?
Eppure, rispetto agli inceneritori, esistono soluzioni più rapide: con il “porta a porta” spinto si arriva in un mese al 60% di differenziata. E introducendo (come chiede il Wwf) una moratoria dell’usa e getta e dei materiali non riciclabili, ecco che il residuo diminuirebbe al punto da non giustificare più la costruzione degli impianti. Ma il “porta a porta” (con tante eccezioni) attecchisce sopratutto al nord. Non é un caso: nel nostro settentrione i gruppi industriali, affamati di materia prima-seconda, premono perché venga incrementata la differenziata.
Insomma, nel grande gioco del lobbying, alcune soluzioni combaciano con l’interesse dei cittadini, altre no. Ma spesso l’ago della bilancia é proprio la forza latente dei cittadini. Il loro interesse é legato a impatto ambientale e carico sui contribuenti: considerando questi fattori, il riciclo soppianta sia incenerimento che discarica.
Questa logica indica però una priorità anche rispetto al riciclo: il riuso, il quale si poggia sulle economie popolari dell’usato, ovvero rigattieri, rovistatori di cassonetti e negozi dell’usato conto terzi. Il settore dell’usato italiano fattura come un conglomerato di grandi imprese, impiega decine di migliaia di persone e toglie alle discariche centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti e potenziali rifiuti. Ma purtroppo é un comparto marginalizzato e in buona parte informale.
Se negozi in conto terzi, rom e rigattieri ambulanti si unissero tra di loro, nascerebbe finalmente una grande lobby del riuso, capace di rivendicare, tra le altre cose, l’accesso alle merci riusabili impropriamente conferite tra i rifiuti.
Tra le lobby in campo sarebbe la più popolare e indubbiamente la più vicina agli interessi di tutti.
Pietro Luppi da Aesse
Nessun commento:
Posta un commento