di Michele Buonomo, presidente regionale Legambiente
Centocinquanta comuni campani, i comuni ricicloni, quelli che hanno raggiunto e spesso superato il 35 per cento di differenziata, hanno scritto una lettera aperta al presidente della Repubblica non per chiedere sussidi ma certezze della gestione integrata dei rifiuti che parte dalla raccolta differenziata, il compostaggio della frazione organica e passa per il recupero energetico attraverso i termovalorizzatori-gassificatori, destinando alla discarica solo quanto non è utilizzabile.Hanno chiesto che le norme dalla legge per la gestione dei rifiuti fossero rispettate con fermezza e che, in un’ottica di federalismo fiscale, venissero premiati i Comuni che fanno della raccolta differenziata la soluzione prioritaria.
Sono gli stessi Comuni che una settimana prima a Napoli hanno aperto la manifestazione promossa da Legambiente, Coldiretti, Acli e tanti altri «Rifiuti: uscirne si può. Voler bene alla Campania». Le due iniziative, la lettera e la manifestazione, hanno lo scopo di lanciare un messaggio al Paese e soprattutto agli amministratori e per essi ai cittadini campani: per superare l'emergenza rifiuti che da anni attanaglia la Campania e ne sta mettendo a repentaglio, insieme ad un ambiente fino a qualche anno fa invidiato da tutti, i due maggiori fattori di sviluppo, l'agricoltura di qualità ed il turismo, è necessaria una forte assunzione di responsabilità. Legambiente crede da tempo che la crisi dei rifiuti sia il paradigma di molti ritardi in campo ambientale: mancata valorizzazione delle aree protette, che dovevano rappresentare un fiore all'occhiello della politica di questi anni; scarsa depurazione delle acque; perdita di suolo e cementificazione abusiva; cave da bonificare; messa in sicurezza dei territori a rischio di dissesto idrogeologico; un adeguato sistema di prevenzione degli incendi. Riteniamo, quindi, che ciò che occorre alla nostra regione in tempi brevissimi sia una sorta di New Deal che abbia come protagonisti assoluti gli abitanti stessi della Campania. Perchè accada sono necessarie due cose: da un lato chiudere l'abisso di sfiducia che si è venuto a creare fra i cittadini e la loro classe dirigente con un profondo rinnovamento della stessa e dall'altro il superamento del localismo amorale. Il primo si supera ricreando il sistema delle responsabilità e favorendo la partecipazione alle decisioni che riguardano il futuro di tutti; il secondo riverbera l'analisi di Banfield - che poneva a base dell'arretratezza del Mezzogiorno il familismo amorale e l’incapacità degli abitanti di agire insieme per il bene comune oltre l’orizzonte di convenienze del proprio ristretto nucleo familiare - sullo scenario attuale di pericolose chiusure nell'ambito del proprio specifico territoriale. In tempi di globalizzazione bisogna che tutti siano pronti a fare la propria parte per contribuire allo sviluppo comune. La difesa del territorio è una battaglia sacrosanta, un diritto-dovere di tutti. Negare la propria disponibilità, per qualsiasi esigenza (fosse un impianto di compostaggio, un'isola ecologica o un impianto per il riciclaggio dei rifiuti o una fattoria eolica) è un'insopportabile espressione della sindrome nimby. L'ambientalismo vive di conflitto, senza conflitto morirebbe. La «riforma ecologica» che noi proponiamo richiede scelte di cambiamento radicale da parte della politica, scelte «conflittuali» perchè inevitabilmente penalizzano determinati interessi e ne premiano altri. Un ambientalismo che rinunciasse al conflitto, anche locale e territoriale, perderebbe ogni capacità di coinvolgere e di convincere. E di contribuire a cambiare veramente le cose. Però bisogna intendersi su quali siano i conflitti ambientalisti e quali no e sapere che gli avversari delle scelte necessarie a migliorare l'ambiente non sono sempre «altrove». Un po' di anni fa la sinistra liquidava l'ambientalismo come una moda «borghese». Oggi qualche «antagonista» accusa Legambiente di non saremmo abbastanza «radicali», ma noi continuiamo a ritenere che sia sbagliata l'equazione tra difesa dell'ambiente e conservazione di tutto ciò che c'è e crediamo che per trasformare l'economia, la società, i rapporti internazionali in senso sostenibile l'ambientalismo debba essere meno conservatore e più innovatore.
Centocinquanta comuni campani, i comuni ricicloni, quelli che hanno raggiunto e spesso superato il 35 per cento di differenziata, hanno scritto una lettera aperta al presidente della Repubblica non per chiedere sussidi ma certezze della gestione integrata dei rifiuti che parte dalla raccolta differenziata, il compostaggio della frazione organica e passa per il recupero energetico attraverso i termovalorizzatori-gassificatori, destinando alla discarica solo quanto non è utilizzabile.Hanno chiesto che le norme dalla legge per la gestione dei rifiuti fossero rispettate con fermezza e che, in un’ottica di federalismo fiscale, venissero premiati i Comuni che fanno della raccolta differenziata la soluzione prioritaria.
Sono gli stessi Comuni che una settimana prima a Napoli hanno aperto la manifestazione promossa da Legambiente, Coldiretti, Acli e tanti altri «Rifiuti: uscirne si può. Voler bene alla Campania». Le due iniziative, la lettera e la manifestazione, hanno lo scopo di lanciare un messaggio al Paese e soprattutto agli amministratori e per essi ai cittadini campani: per superare l'emergenza rifiuti che da anni attanaglia la Campania e ne sta mettendo a repentaglio, insieme ad un ambiente fino a qualche anno fa invidiato da tutti, i due maggiori fattori di sviluppo, l'agricoltura di qualità ed il turismo, è necessaria una forte assunzione di responsabilità. Legambiente crede da tempo che la crisi dei rifiuti sia il paradigma di molti ritardi in campo ambientale: mancata valorizzazione delle aree protette, che dovevano rappresentare un fiore all'occhiello della politica di questi anni; scarsa depurazione delle acque; perdita di suolo e cementificazione abusiva; cave da bonificare; messa in sicurezza dei territori a rischio di dissesto idrogeologico; un adeguato sistema di prevenzione degli incendi. Riteniamo, quindi, che ciò che occorre alla nostra regione in tempi brevissimi sia una sorta di New Deal che abbia come protagonisti assoluti gli abitanti stessi della Campania. Perchè accada sono necessarie due cose: da un lato chiudere l'abisso di sfiducia che si è venuto a creare fra i cittadini e la loro classe dirigente con un profondo rinnovamento della stessa e dall'altro il superamento del localismo amorale. Il primo si supera ricreando il sistema delle responsabilità e favorendo la partecipazione alle decisioni che riguardano il futuro di tutti; il secondo riverbera l'analisi di Banfield - che poneva a base dell'arretratezza del Mezzogiorno il familismo amorale e l’incapacità degli abitanti di agire insieme per il bene comune oltre l’orizzonte di convenienze del proprio ristretto nucleo familiare - sullo scenario attuale di pericolose chiusure nell'ambito del proprio specifico territoriale. In tempi di globalizzazione bisogna che tutti siano pronti a fare la propria parte per contribuire allo sviluppo comune. La difesa del territorio è una battaglia sacrosanta, un diritto-dovere di tutti. Negare la propria disponibilità, per qualsiasi esigenza (fosse un impianto di compostaggio, un'isola ecologica o un impianto per il riciclaggio dei rifiuti o una fattoria eolica) è un'insopportabile espressione della sindrome nimby. L'ambientalismo vive di conflitto, senza conflitto morirebbe. La «riforma ecologica» che noi proponiamo richiede scelte di cambiamento radicale da parte della politica, scelte «conflittuali» perchè inevitabilmente penalizzano determinati interessi e ne premiano altri. Un ambientalismo che rinunciasse al conflitto, anche locale e territoriale, perderebbe ogni capacità di coinvolgere e di convincere. E di contribuire a cambiare veramente le cose. Però bisogna intendersi su quali siano i conflitti ambientalisti e quali no e sapere che gli avversari delle scelte necessarie a migliorare l'ambiente non sono sempre «altrove». Un po' di anni fa la sinistra liquidava l'ambientalismo come una moda «borghese». Oggi qualche «antagonista» accusa Legambiente di non saremmo abbastanza «radicali», ma noi continuiamo a ritenere che sia sbagliata l'equazione tra difesa dell'ambiente e conservazione di tutto ciò che c'è e crediamo che per trasformare l'economia, la società, i rapporti internazionali in senso sostenibile l'ambientalismo debba essere meno conservatore e più innovatore.
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