Nell’albergo sul Lago Maggiore, nell’autunno 1943 si trovano un gruppo di ebrei, alcuni villeggianti e un plotone di SS. Una storia vera finita in tragedia.
Non è un caso se Hotel Meina esce nelle sale a partire da venerdì, due giorni prima della Giornata della Memoria che si celebra il 27 gennaio per ricordare la Shoah e tutte le vittime della persecuzione nazista. E ancor meno lo è il fatto che a firmare la pellicola sia Carlo Lizzani, regista di titoli storici come La vita agra, Banditi a Milano, Celluloide e di toccanti film-tv come Maria Josè, l’ultima regina.
Cineasta sensibile, formatosi alla dura scuola del documentario, Lizzani ha sempre avuto un’attenzione particolare per quelle vicende, ispirate a eventi realmente accaduti o a opere letterarie, che tratteggiassero una sorta di storia per immagini del fascismo e dell’antifascismo. Dalle origini negli anni Venti (Fontamara con Michele Placido e Cronache di poveri amanti con Mastroianni) agli illusori anni Trenta (Un’isola basato sul libro di Giorgio Amendola). Dalla nascita della Resistenza (Achtung! Banditi! ) fino al tragico epilogo nell’aprile 1945 (L’oro di Roma e poi Mussolini ultimo atto con Rod Steiger ed Henry Fonda).
Ora Lizzani chiude il cerchio rievocando in modo asciutto ed emozionante il primo eccidio di ebrei, un gruppo di 16, perpetrato dai nazisti in Italia (a Meina sul Lago Maggiore) all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Una pagina nera della storia italiana a lungo rimossa. Ma anche una testimonianza struggente dell’incapacità di credere a cotanto orrore, di quella sorta di inerzia paralizzante che fece di milioni di ebrei le vittime sacrificali della bestialità hitleriana.
«Gli anni dell’ultimo conflitto mondiale sono fonte inesauribile di storie, individuali e collettive, dalla valenza universale», spiega Lizzani, 86 anni il prossimo 3 aprile ma ancora tanta vitalità, nel corpo dritto e asciutto, da reggere la fatica del set. «Ciò che mi ha affascinato nella storia, tutta vera, dell’Hotel Meina, raccontata nel suo omonimo libro da Marco Nozza, è il modo sottile e imprevedibile con cui Male e Bene sono entrati in conflitto in un luogo e in un momento apparentemente idilliaci».
* A che cosa si riferisce?
«In questo albergo affacciato su uno degli scorci più belli del Lago Maggiore, nel settembre ’43 si trovano a convivere per giorni alcuni ebrei benestanti, un plotone di SS e un gruppo di villeggianti italiani e tedeschi fuggiti lontano dai fronti di guerra e dai bombardamenti alleati. La caduta di Mussolini nonché l’armistizio, annunciato in quel modo equivoco che tutti ricordiamo, fanno dell’Italia una sorta di terra di nessuno. Non è possibile lasciare l’albergo, eppure la sorveglianza dei nazisti sugli ebrei è morbida. Tutti sembrano in attesa di ordini, di notizie. Il confine svizzero è lì vicino. Perché, però, scappare se la guerra probabilmente sta per finire? Così, qualche volta si mangia insieme, si fa musica, si gioca a carte... Finché vittime e carnefici non saranno chiamati ai loro ruoli».
Raccontata in questo modo la storia sembrerebbe banale. Ma sullo schermo Lizzani la traduce in un duello sottile di sguardi, allusioni, minacce, seduzioni intrecciate tra alcuni personaggi che emergono sullo sfondo del gruppo di villeggianti. C’è il comandante Krassler, che guida il plotone di SS: giovane, altero, belloccio, ben educato eppure di una spietatezza inumana. C’è Giorgio Benar, proprietario dell’albergo, di fede giudaica ma di passaporto turco (quindi cittadino di Paese neutrale) che intuisce la minaccia ma non sa come sventarla. C’è sua figlia Noa, innamorata del giovane ebreo Julien. Poi un drappello di soldati svogliati e di clienti eleganti che si incrociano ogni giorno pericolosamente. Su tutti, l’affascinante tedesca Erika Bern: ambigua, incline a dare spago al voglioso ufficiale ma in realtà antinazista in combutta con un gruppo internazionale.
A dare spessore a sentimenti e tradimenti fra le mura dell’hotel (il cui scheletro diroccato spicca tutt’oggi sulle rive di Meina, quasi fosse un monumento alla vergogna) sono attori tanto bravi quanto sconosciuti alla grande platea: italiani come Federico Costantini, Ivana Lotito, Marta Bifano e soprattutto i tedeschi Benjamin Sadler e Ursula Buschhorn.
* Lizzani, il suo film è stato lungamente applaudito alla Mostra di Venezia ma anche criticato da alcuni storici...
«Che non capiscono che il cinema deve narrare la verità di una vicenda ma dare pure allo spettatore umori e segnali che lo calino nello spirito dell’epoca. È vero, il radiogiornale anticipa l’avvento della Repubblica di Salò, ma devo far capire cosa aleggiava nell’aria... E se il personaggio di Erika nel libro non c’è, a me serve per restituire dignità alle migliaia di tedeschi antinazisti che pagarono con la vita, come i giovani universitari della Rosa Bianca o gli ufficiali impiccati dopo l’attentato a Hitler del ’44».
Arbeit macht frei: "il lavoro rende liberi", campeggia tuttora sul cancello di Auschwitz. Ma la memoria di più.
Maurizio Turrioni
Non è un caso se Hotel Meina esce nelle sale a partire da venerdì, due giorni prima della Giornata della Memoria che si celebra il 27 gennaio per ricordare la Shoah e tutte le vittime della persecuzione nazista. E ancor meno lo è il fatto che a firmare la pellicola sia Carlo Lizzani, regista di titoli storici come La vita agra, Banditi a Milano, Celluloide e di toccanti film-tv come Maria Josè, l’ultima regina.
Cineasta sensibile, formatosi alla dura scuola del documentario, Lizzani ha sempre avuto un’attenzione particolare per quelle vicende, ispirate a eventi realmente accaduti o a opere letterarie, che tratteggiassero una sorta di storia per immagini del fascismo e dell’antifascismo. Dalle origini negli anni Venti (Fontamara con Michele Placido e Cronache di poveri amanti con Mastroianni) agli illusori anni Trenta (Un’isola basato sul libro di Giorgio Amendola). Dalla nascita della Resistenza (Achtung! Banditi! ) fino al tragico epilogo nell’aprile 1945 (L’oro di Roma e poi Mussolini ultimo atto con Rod Steiger ed Henry Fonda).
Ora Lizzani chiude il cerchio rievocando in modo asciutto ed emozionante il primo eccidio di ebrei, un gruppo di 16, perpetrato dai nazisti in Italia (a Meina sul Lago Maggiore) all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Una pagina nera della storia italiana a lungo rimossa. Ma anche una testimonianza struggente dell’incapacità di credere a cotanto orrore, di quella sorta di inerzia paralizzante che fece di milioni di ebrei le vittime sacrificali della bestialità hitleriana.
«Gli anni dell’ultimo conflitto mondiale sono fonte inesauribile di storie, individuali e collettive, dalla valenza universale», spiega Lizzani, 86 anni il prossimo 3 aprile ma ancora tanta vitalità, nel corpo dritto e asciutto, da reggere la fatica del set. «Ciò che mi ha affascinato nella storia, tutta vera, dell’Hotel Meina, raccontata nel suo omonimo libro da Marco Nozza, è il modo sottile e imprevedibile con cui Male e Bene sono entrati in conflitto in un luogo e in un momento apparentemente idilliaci».
* A che cosa si riferisce?
«In questo albergo affacciato su uno degli scorci più belli del Lago Maggiore, nel settembre ’43 si trovano a convivere per giorni alcuni ebrei benestanti, un plotone di SS e un gruppo di villeggianti italiani e tedeschi fuggiti lontano dai fronti di guerra e dai bombardamenti alleati. La caduta di Mussolini nonché l’armistizio, annunciato in quel modo equivoco che tutti ricordiamo, fanno dell’Italia una sorta di terra di nessuno. Non è possibile lasciare l’albergo, eppure la sorveglianza dei nazisti sugli ebrei è morbida. Tutti sembrano in attesa di ordini, di notizie. Il confine svizzero è lì vicino. Perché, però, scappare se la guerra probabilmente sta per finire? Così, qualche volta si mangia insieme, si fa musica, si gioca a carte... Finché vittime e carnefici non saranno chiamati ai loro ruoli».
Raccontata in questo modo la storia sembrerebbe banale. Ma sullo schermo Lizzani la traduce in un duello sottile di sguardi, allusioni, minacce, seduzioni intrecciate tra alcuni personaggi che emergono sullo sfondo del gruppo di villeggianti. C’è il comandante Krassler, che guida il plotone di SS: giovane, altero, belloccio, ben educato eppure di una spietatezza inumana. C’è Giorgio Benar, proprietario dell’albergo, di fede giudaica ma di passaporto turco (quindi cittadino di Paese neutrale) che intuisce la minaccia ma non sa come sventarla. C’è sua figlia Noa, innamorata del giovane ebreo Julien. Poi un drappello di soldati svogliati e di clienti eleganti che si incrociano ogni giorno pericolosamente. Su tutti, l’affascinante tedesca Erika Bern: ambigua, incline a dare spago al voglioso ufficiale ma in realtà antinazista in combutta con un gruppo internazionale.
A dare spessore a sentimenti e tradimenti fra le mura dell’hotel (il cui scheletro diroccato spicca tutt’oggi sulle rive di Meina, quasi fosse un monumento alla vergogna) sono attori tanto bravi quanto sconosciuti alla grande platea: italiani come Federico Costantini, Ivana Lotito, Marta Bifano e soprattutto i tedeschi Benjamin Sadler e Ursula Buschhorn.
* Lizzani, il suo film è stato lungamente applaudito alla Mostra di Venezia ma anche criticato da alcuni storici...
«Che non capiscono che il cinema deve narrare la verità di una vicenda ma dare pure allo spettatore umori e segnali che lo calino nello spirito dell’epoca. È vero, il radiogiornale anticipa l’avvento della Repubblica di Salò, ma devo far capire cosa aleggiava nell’aria... E se il personaggio di Erika nel libro non c’è, a me serve per restituire dignità alle migliaia di tedeschi antinazisti che pagarono con la vita, come i giovani universitari della Rosa Bianca o gli ufficiali impiccati dopo l’attentato a Hitler del ’44».
Arbeit macht frei: "il lavoro rende liberi", campeggia tuttora sul cancello di Auschwitz. Ma la memoria di più.
Maurizio Turrioni
1 commento:
good start
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