Lavora alla Scuola della Pace, a Scampia, dove sono accolti bambini italiani e rom. Una battaglia quotidiana, spicciola e ambiziosa nello stesso tempo, quella di Enzo Somma della Comunità di Sant’Egidio. Ha i toni pacati di chi sa che la convivenza e l’integrazione hanno bisogno di tempi lunghi e di parole chiare. Aspettando l’integrazione che verrà, intanto c’è lo spettacolo degradante del mercatino della spazzatura a corso Garibaldi. «In questo spettacolo a recitare la parte più degradante sono proprio i rom. Certo c’è il disagio del quartiere, ma colpisce che nella nostra società del benessere c’è chi per sopravvivere deve vendere quello che raccoglie nella spazzatura. È questo tipo di povertà che dovrebbe scandalizzarci». Invece? «Invece prevale il clima di allarme sociale. Tutto finisce nel calderone dell’intolleranza: il mercatino dell’immondizia non è la stessa cosa dell’omicidio di Roma. È solo fastidio urbano». Sono due problemi differenti. Ma far prosperare questo degrado non spinge verso l’invocazione di misure come la tolleranza zero, facendo di tutta l’erba un fascio? «È un rischio reale. C’è una percezione indistinta del presenza dei rom. La soluzione è quella di dare una sistemazione dignitosa ai migranti e ai nomadi. Opportunità di accoglienza che in altre parti d’Europa e d’Italia funzionano. Vanno eliminate le sacche di illegalità dove trova terreno fertile la criminalità, nostra e loro. Purtroppo si preferiscono le scorciatoie». Che tipo di scorciatoie? «La caccia al rumeno. La convivenza urbana non si ottiene facendo delle città delle fortezze, ma includendo i diversi. L’Italia ha bisogno degli stranieri». Anche dei venditori di rifiuti? Non è un degrado esterno che si aggiunge al degrado che produciamo noi? «I rom possono essere una risorsa come ogni persona. A loro non è data la possibilità di emergere. Nessuno li assume. Gli chiedono il permesso di soggiorno che non hanno, perché i rom non sono solo rumeni, molti sono ex-jugoslavi, fuori dell’Europa. La criminalità va a pescare tra i disperati. E la mancata integrazione li espone a questi rischi». Che cosa bisognerebbe fare non tra dieci anni, ma oggi? «Posso dire quello che facciamo. Con la nostra scuola, che tiene insieme bambini italiani e rom, proviamo a creare quotidianamente la convivenza. Ed è qualcosa che possono fare tutti. Amicizia, solidarietà e non rifiuti». p.t.
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