Entro giugno molti sono chiamati ad una scelta difficile: liquidazione o pensione integrativa?
La decisione del Governo di anticipare la riforma della previdenza complementare al 2007, trova una più appropriata chiave di lettura se collocata nel quadro dell’intero sistema pensionistico, di cui la previdenza complementare è da considerarsi ormai parte integrante.
L’elemento più rilevante della riforma consiste nel tentativo di “sbloccare” il Tfr dei lavoratori dipendenti e di destinarlo ad un fondo pensione: se è vero che l’adesione alla previdenza complementare avviene su base volontaria, è pur vero che il lavoratore sarà chiamato a scegliere, entro sei mesi, in merito al destino del suo Tfr, e se non opererà alcuna scelta la normativa prevede che il Tfr venga comunque destinato, nel silenzio del lavoratore, ad un fondo pensione, secondo precise modalità.
È dunque una scelta libera, o si tratta di una scelta forzata?
Si può ritenere che si tratta di una scelta libera, ma, per così dire, limitata, trattandosi piuttosto di una necessità derivante dalla prevista riduzione degli importi delle future pensioni del sistema obbligatorio, conseguente all’applicazione del calcolo contributivo, in particolare per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995. In tale anno era stata varata la “Riforma Dini” che aveva perfezionato l’architettura del sistema previdenziale, definendo i “due pilastri” sui quali si sarebbe retto il futuro edificio pensionistico: il “primo pilastro”, costituito dal regime generale obbligatorio, a ripartizione e con metodo di calcolo contributivo, e un “secondo pilastro”, costituito dalla previdenza complementare, costituita su basi volontarie, a capitalizzazione.
Per destinare risorse al secondo pilastro si era individuato, per i lavoratori dipendenti, il Tfr; ma tra ritardi e lungaggini, la previdenza complementare, in poco più di dieci anni, ha interessato solo il 13-14% dei lavoratori italiani. Con le disposizioni entrate in vigore dal 2007 il processo decisionale sarà accelerato, almeno per i lavoratori dipendenti del settore privato.
Regime obbligatorio e regime volontario sono dunque i due pilastri. Si tratta di creare le condizioni perché l’edificio sia solido, o meglio, fuor di metafora, sia in grado di garantire pensioni dignitose alle persone nel momento in cui si ritirano dall’attività lavorativa.
Per questo è necessario un oculato uso delle risorse destinate al secondo pilastro, e affinchè ciò si realizzi è necessario che si diffonda la “cultura” del risparmio previdenziale nel nostro Paese.
In parte questa cultura è già presente, come dimostra l’alta propensione al risparmio degli italiani, ma è necessario un salto di qualità. Va, infatti, osservato che ben raramente, nell’immaginario collettivo, il sistema previdenziale è stato percepito come associato al risparmio per la vecchiaia, per costruire il quale il lavoratore è costretto ad esercitare un ruolo attivo. Il sistema di primo pilastro non contiene, infatti, in sé, per sua configurazione, elementi di responsabilizzazione dei lavoratori: la misura della contribuzione è fissata per legge, e quindi non la si può incrementare a piacimento, l’obbligo dei versamenti contributivi ricade sul datore di lavoro, il calcolo di pensione è stabilito dalla legge, e l’Inps è un ente affidabile perché alla fine paga… La pensione viene, quindi, di fatto percepita come un “qualcosa di dovuto” piuttosto che come un qualcosa da costruire giorno per giorno: al lavoratore non viene chiesto di svolgere un ruolo attivo, se non quello di preoccuparsi di controllare che i contributi gli vengano accreditati correttamente e regolarmente.
Con il varo della previdenza complementare il lavoratore è ora chiamato ad un ruolo attivo e consapevole, perché la caratteristica di volontarietà lo chiama comunque ad operare più di una scelta per costruirsi la seconda pensione: destinare o meno il proprio Tfr al risparmio previdenziale, scegliere un Fondo piuttosto che un altro, incrementare o meno la misura della propria contribuzione, scegliere il comparto di investimenti più appropriato alla propria condizione, cambiare comparto, come pure perfino cambiare Fondo, se i rendimenti del suo risparmio previdenziale non lo soddisfano. E si potrebbe continuare.
“Monitoraggio” e “manutenzione” del risparmio previdenziale sono due azioni che impegneranno le persone nel corso della vita lavorativa, affidandosi anche alla consulenza di soggetti indipendenti e imparziali. In questo senso si può affermare che siamo di fronte ad una svolta che è innanzi tutto “culturale”, che fa appello al senso di responsabilità dei lavoratori e dei cittadini. Ma per esercitare un ruolo attivo occorre che i lavoratori siano adeguatamente informati in modo da poter esercitare scelte libere e consapevoli.
Va sottolineato che la normativa non lascia il lavoratore da solo di fronte ai fondi pensione: è stato definito un efficace sistema di vigilanza a garanzia del risparmio previdenziale, affidandone la responsabilità ad un’unica authority, la Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), che dispone in merito alla stesura di statuti e regolamenti dei fondi, ne controlla l’operato con visite ispettive periodiche, ed esegue altre operazioni a tutela del risparmio previdenziale.
Perché il cambiamento sia perfezionato occorre tuttavia che vengano messe a punto anche altre misure in grado di favorire la più ampia diffusione della previdenza complementare tra tutti i lavoratori. Occorre che siano presto perfezionate le norme che consentano anche agli operatori del pubblico impiego di iscriversi ad un fondo pensione. Occorre anche che si creino le condizioni perché alcune categorie di lavori molto parcellizzati, come ad esempio la categoria del lavoro domestico, siano messe in condizione di potersi inserire nel secondo pilastro, pur a partire dalle rispettive peculiarità.
Non è possibile, inoltre, nascondersi le difficoltà che potranno incontrare le fasce più deboli del lavoro parasubordinato ed autonomo, per le quali non è possibile disporre del Tfr; analogamente, si presenteranno difficoltà per quei lavoratori dipendenti che prestano lavori precari in modo saltuario, per i quali il Tfr costituisce, di fatto, un ammortizzatore sociale da spendere tra due periodi di disoccupazione.
I problemi, come si vede, non mancano, ma la macchina si è messa in moto. Ora si tratta di operare e di vigilare perché vada nella direzione più favorevole alla tutela del reddito delle persone che hanno dedicato la loro vita al lavoro.
Giuseppe Argentino
La decisione del Governo di anticipare la riforma della previdenza complementare al 2007, trova una più appropriata chiave di lettura se collocata nel quadro dell’intero sistema pensionistico, di cui la previdenza complementare è da considerarsi ormai parte integrante.
L’elemento più rilevante della riforma consiste nel tentativo di “sbloccare” il Tfr dei lavoratori dipendenti e di destinarlo ad un fondo pensione: se è vero che l’adesione alla previdenza complementare avviene su base volontaria, è pur vero che il lavoratore sarà chiamato a scegliere, entro sei mesi, in merito al destino del suo Tfr, e se non opererà alcuna scelta la normativa prevede che il Tfr venga comunque destinato, nel silenzio del lavoratore, ad un fondo pensione, secondo precise modalità.
È dunque una scelta libera, o si tratta di una scelta forzata?
Si può ritenere che si tratta di una scelta libera, ma, per così dire, limitata, trattandosi piuttosto di una necessità derivante dalla prevista riduzione degli importi delle future pensioni del sistema obbligatorio, conseguente all’applicazione del calcolo contributivo, in particolare per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995. In tale anno era stata varata la “Riforma Dini” che aveva perfezionato l’architettura del sistema previdenziale, definendo i “due pilastri” sui quali si sarebbe retto il futuro edificio pensionistico: il “primo pilastro”, costituito dal regime generale obbligatorio, a ripartizione e con metodo di calcolo contributivo, e un “secondo pilastro”, costituito dalla previdenza complementare, costituita su basi volontarie, a capitalizzazione.
Per destinare risorse al secondo pilastro si era individuato, per i lavoratori dipendenti, il Tfr; ma tra ritardi e lungaggini, la previdenza complementare, in poco più di dieci anni, ha interessato solo il 13-14% dei lavoratori italiani. Con le disposizioni entrate in vigore dal 2007 il processo decisionale sarà accelerato, almeno per i lavoratori dipendenti del settore privato.
Regime obbligatorio e regime volontario sono dunque i due pilastri. Si tratta di creare le condizioni perché l’edificio sia solido, o meglio, fuor di metafora, sia in grado di garantire pensioni dignitose alle persone nel momento in cui si ritirano dall’attività lavorativa.
Per questo è necessario un oculato uso delle risorse destinate al secondo pilastro, e affinchè ciò si realizzi è necessario che si diffonda la “cultura” del risparmio previdenziale nel nostro Paese.
In parte questa cultura è già presente, come dimostra l’alta propensione al risparmio degli italiani, ma è necessario un salto di qualità. Va, infatti, osservato che ben raramente, nell’immaginario collettivo, il sistema previdenziale è stato percepito come associato al risparmio per la vecchiaia, per costruire il quale il lavoratore è costretto ad esercitare un ruolo attivo. Il sistema di primo pilastro non contiene, infatti, in sé, per sua configurazione, elementi di responsabilizzazione dei lavoratori: la misura della contribuzione è fissata per legge, e quindi non la si può incrementare a piacimento, l’obbligo dei versamenti contributivi ricade sul datore di lavoro, il calcolo di pensione è stabilito dalla legge, e l’Inps è un ente affidabile perché alla fine paga… La pensione viene, quindi, di fatto percepita come un “qualcosa di dovuto” piuttosto che come un qualcosa da costruire giorno per giorno: al lavoratore non viene chiesto di svolgere un ruolo attivo, se non quello di preoccuparsi di controllare che i contributi gli vengano accreditati correttamente e regolarmente.
Con il varo della previdenza complementare il lavoratore è ora chiamato ad un ruolo attivo e consapevole, perché la caratteristica di volontarietà lo chiama comunque ad operare più di una scelta per costruirsi la seconda pensione: destinare o meno il proprio Tfr al risparmio previdenziale, scegliere un Fondo piuttosto che un altro, incrementare o meno la misura della propria contribuzione, scegliere il comparto di investimenti più appropriato alla propria condizione, cambiare comparto, come pure perfino cambiare Fondo, se i rendimenti del suo risparmio previdenziale non lo soddisfano. E si potrebbe continuare.
“Monitoraggio” e “manutenzione” del risparmio previdenziale sono due azioni che impegneranno le persone nel corso della vita lavorativa, affidandosi anche alla consulenza di soggetti indipendenti e imparziali. In questo senso si può affermare che siamo di fronte ad una svolta che è innanzi tutto “culturale”, che fa appello al senso di responsabilità dei lavoratori e dei cittadini. Ma per esercitare un ruolo attivo occorre che i lavoratori siano adeguatamente informati in modo da poter esercitare scelte libere e consapevoli.
Va sottolineato che la normativa non lascia il lavoratore da solo di fronte ai fondi pensione: è stato definito un efficace sistema di vigilanza a garanzia del risparmio previdenziale, affidandone la responsabilità ad un’unica authority, la Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), che dispone in merito alla stesura di statuti e regolamenti dei fondi, ne controlla l’operato con visite ispettive periodiche, ed esegue altre operazioni a tutela del risparmio previdenziale.
Perché il cambiamento sia perfezionato occorre tuttavia che vengano messe a punto anche altre misure in grado di favorire la più ampia diffusione della previdenza complementare tra tutti i lavoratori. Occorre che siano presto perfezionate le norme che consentano anche agli operatori del pubblico impiego di iscriversi ad un fondo pensione. Occorre anche che si creino le condizioni perché alcune categorie di lavori molto parcellizzati, come ad esempio la categoria del lavoro domestico, siano messe in condizione di potersi inserire nel secondo pilastro, pur a partire dalle rispettive peculiarità.
Non è possibile, inoltre, nascondersi le difficoltà che potranno incontrare le fasce più deboli del lavoro parasubordinato ed autonomo, per le quali non è possibile disporre del Tfr; analogamente, si presenteranno difficoltà per quei lavoratori dipendenti che prestano lavori precari in modo saltuario, per i quali il Tfr costituisce, di fatto, un ammortizzatore sociale da spendere tra due periodi di disoccupazione.
I problemi, come si vede, non mancano, ma la macchina si è messa in moto. Ora si tratta di operare e di vigilare perché vada nella direzione più favorevole alla tutela del reddito delle persone che hanno dedicato la loro vita al lavoro.
Giuseppe Argentino
3 commenti:
un argomento stringente che coinvolge milioni di lavoratori italiani. Sono lieto che voi delle ACLI ne parlate nel merito senza proporre direttamente un fondo o una convenzione. Segno di indipendenza. Detto ciò si può pensare ad un elenco di soluzioni convenienti per i lavoratori magari autogestite.
Vincenzo Loffredo.
Se vi può interessare ho scritto un articolo correlato, con considerazioni ponderate dal punto di vista economico - rischi finanziari.
Complimenti per il blog
http://apri-i-tuoi-occhi.blogspot.com/
Perche non:)
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