mercoledì, dicembre 27, 2006

Pensioni, bonus per chi resta

L'idea sarebbe di continuare a permettere di andare in pensione a 58 anni, ma con un trattamento un po' più basso, 3,5% in meno per ogni anno di anticipo rispetto ai 60. Sono queste le prime ipotesi dei tecnici del ministeri del Lavoro e dell'Economia; e qui si rischia, all'interno di una coalizione di governo nella quale l'ala sinistra non vuole i disincentivi. Più semplice la questione degli incentivi, l'altro caposaldo della riforma previdenziale che si sta cominciando a progettare: chi resterà al lavoro dopo i 60, avrebbe una pensione maggiorata di almeno l'1,5% ogni anno. Il risultato finale dovrà uscire da una trattativa con i sindacati, di cui non è ancora fissato l'inizio, ma che dovrebbe concludersi entro marzo. Le ipotesi di cui sopra, da indiscrezioni raccolte dall'Agi ieri, sono riferite ai lavori «non usuranti»; mentre soluzioni diverse si adotteranno per i lavori «usuranti» tra i quali è certo che saranno compresi gli operai delle linee di montaggio. Lo scopo sarebbe di aumentare l'età media effettiva di pensionamento grazie a scelte volontarie; mentre finora è stato sempre smentito un aumento obbligatorio dell'età pensionabile di legge per le donne.
E’ un doppio problema, quello che il governo Prodi 2 si trova di fronte. In prospettiva, occorre evitare - provvedendo per tempo - che dopo il 2015 un progressivo aumento della spesa previdenziale, culminante nel 2038, costringa i futuri governi a pesanti aumenti delle tasse. In un arco più breve, si intende sostituire la riforma Maroni del centrodestra, che dal 2008 impedirà a tutti di andare a riposo prima dei 60 anni (modifica dei criteri per le pensioni di anzianità).
Le critiche alla Maroni
La Maroni - criticata tecnicamente da molti economisti, ma comunque efficace - ridurrà la spesa di poco nel 2008, 320 milioni di euro, di somme crescenti negli anni successivi, 2,6 miliardi nel 2009, 4,7 miliardi nel 2010, 6,2 miliardi nel 2011, e stabili sui 7 miliardi negli anni ancora seguenti. Per disfarla, la posizione ufficiale del governo è che si dovranno trovare risparmi equivalenti. Ma l’ala sinistra della maggioranza non è d’accordo, perché, secondo i calcoli dell’Inps, per l’equivalenza non basterebbero nemmeno i disincentivi e occorrerebbe intervenire anche sulle regole obbligatorie (età per le donne).
«Basta parlare di innalzamento dell’età pensionabile e di riforma delle pensioni» ha infatti dichiarato ieri il capogruppo alla Camera del Pdci, Pino Sgobio, sostenendo che così «si tradirebbe il patto con gli elettori». E’ il Pdci il più duro; in parte disposta a discutere è Rifondazione comunista, il cui capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena dice «sì agli incentivi volontari» e no ai disincentivi. Cosicché è proprio Roberto Maroni, della Lega, a notare che l’Unione «è divisa su tutto».
I lavori usuranti
Il programma elettorale dell’Unione, in realtà, prospetta «l’allungamento graduale della carriera lavorativa, tenendo conto del diverso grado di usura provocato dal lavoro».
Il memorandum di intesa tra governo e Cgil-Cisl-Uil, firmato il 26 settembre, prevede «flessibilità dell’età di pensionamento» attraverso «misure che favoriscano l’allungamento della permanenza nel mercato del lavoro»; non esclude dunque i disincentivi. Ma le confederazioni sindacali, la Cgil in particolare, temono di essere scavalcate a sinistra dai partiti e insistono che il governo deve «formulare una proposta unitaria».
L’ala riformista della maggioranza, come hanno ripetuto il segretario dei Ds, Piero Fassino, e il vicepremier Francesco Rutelli, invece intende andare avanti. Il radicale Daniele Capezzone invita il governo a «non accettare il veto del Pdci». Per accettare misure impopolari molto conterà il «do ut des»: nel memorandum governo-sindacati si prevede anche di migliorare le pensioni minime e di «superare» il divieto di cumulo pensione-lavoro.
da: "La Stampa. STEFANO LEPRI"

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