Occorrono «vie nuove» da ricercare in modo coraggioso, originale e profetico
«La Chiesa è chiamata ad una ripartenza». Ne sono convinte le Acli che giungono al Convegno ecclesiale di Verona con un proprio contributo - un documento della direzione nazionale - frutto di un anno di intensi confronti, approfondimenti e riflessioni svolti nei territori a vari livelli associativi e raccolti ora in un libro appena stampato in vista dell'atteso appuntamento nella città scaligera.
Gli uomini e le donne di oggi sono immersi in una profonda ricerca di senso - affermano le Acli - ma c'è il pericolo di rispondere con una «sterilizzazione della fede, che finisce per favorire da una parte una religione civile che, priva della dimensione trascendente, diventa idolatria dei valori e spesso gabbia soffocante, dall'altra parte gli stessi fondamentalismi religiosi». «Per non perdere la bussola e cadere in astratti richiami ai valori o nella paura che porta a desiderare un passato idealizzato», le Acli si propongono di ripartire rimanendo fortemente «ancorati alla Parola di Dio» e al «magistero sociale della Chiesa», mettendosi allo stesso tempo in ascolto degli uomini e della cultura del nostro tempo, confortati dalla certezza di «avere di fronte a noi una strada aperta, che parte da una continua e sempre nuova scoperta che "Dio è amore"».
Occorrono tuttavia «vie nuove» per «testimoniare oggi, con uno stile credibile di vita, la Speranza che viene da Cristo Risorto, da «ricercare assieme, in modo coraggioso, originale e profetico». Collaborare a questa impresa significa per le Acli rinnovare la propria fedeltà alla Chiesa ed esprimere con consapevolezza e responsabilità la propria vocazione laicale, rifuggendo dalla «tentazione, che sentiamo forte - dicono le Acli - di accontentarci, di adattarci ad una vocazione di serie B, con il pericolo di sentirsi della Chiesa ma non nella Chiesa».
Le Acli hanno concentrato la loro riflessione su tre ambiti tra i cinque proposti dal documento di preparazione al Convegno ecclesiale di Verona: i legami, il lavoro e la festa, la cittadinanza. Pur partendo dalla sofferta constatazione di vivere in un tempo in cui «ogni legame è messo fortemente in discussione» da una società «fortemente individualistica e segnata dall'esperienza del provvisorio», le Acli invitano però a non aver paura se i legami vecchi vengono meno, perché «il tempo è propizio per nuovi legami liberi e maturi», a partire da una nuova e più autentica relazione con Gesù Cristo, cuore e modello di ogni legame.
Quanto al tema del lavoro, le Acli sottolineano innanzitutto la necessità di recuperare il tempo e il senso della "festa" come capacità e opportunità di osservare il nostro lavoro e poter dire, alla fine, "è cosa buona e giusta". Perché «a volte si perde di vista il prodotto, lo scopo per cui si lavora e ancor di più il senso del lavorare». Ma perché il lavoro sia "cosa buona", è necessario che sia un «buon lavoro»: che corrisponda cioè una giusta retribuzione, favorisca la crescita e non il consumo delle capacità dei lavoratori, si svolga in condizioni di sicurezza, appaia ragionevolmente stabile nella sua durata. «Un lavoro buono è un lavoro capace di sintonizzare i tempi di vita». «Un lavoro buono - infine - è un lavoro che porta frutto»: che tiene cioè presente i suoi effetti sulle persone e sulla comunità, che opera quindi per una promozione dell'uomo e della società, realizza beni e merci coerenti con il Creato, che non lo aggrediscano né lo sconvolgano, ricerca vie di solidarietà con i lavoratori più svantaggiati, nel proprio Paese ma anche nei Paesi del Sud del Mondo.
Infine, il tema della cittadinanza. Secondo le Acli, tra i mali che minacciano la democrazia c'è lo «smarrimento di un uso corretto, vero della parola e pertanto la perdita della fiducia tra le persone e tra i corpi sociali». La democrazia si svuota, finisce per ridursi a metodo disancorato dai principi di fondo. C'è dunque bisogno di recuperare una parola autentica per ricostruire legami forti e veri. C'è bisogno di ricostruire un «alfabeto sociale cristiano» che possa essere un alfabeto comune condiviso. C'è infine bisogno di «riscoprire una coscienza di popolo», per «recuperare un'esperienza comune», «promuovere momenti di comunità per superare il ripiegamento individualistico e le lacerazioni sterili», stimolare la partecipazione dei cittadini potenziandone la capacità deliberativa.
«La Chiesa è chiamata ad una ripartenza». Ne sono convinte le Acli che giungono al Convegno ecclesiale di Verona con un proprio contributo - un documento della direzione nazionale - frutto di un anno di intensi confronti, approfondimenti e riflessioni svolti nei territori a vari livelli associativi e raccolti ora in un libro appena stampato in vista dell'atteso appuntamento nella città scaligera.
Gli uomini e le donne di oggi sono immersi in una profonda ricerca di senso - affermano le Acli - ma c'è il pericolo di rispondere con una «sterilizzazione della fede, che finisce per favorire da una parte una religione civile che, priva della dimensione trascendente, diventa idolatria dei valori e spesso gabbia soffocante, dall'altra parte gli stessi fondamentalismi religiosi». «Per non perdere la bussola e cadere in astratti richiami ai valori o nella paura che porta a desiderare un passato idealizzato», le Acli si propongono di ripartire rimanendo fortemente «ancorati alla Parola di Dio» e al «magistero sociale della Chiesa», mettendosi allo stesso tempo in ascolto degli uomini e della cultura del nostro tempo, confortati dalla certezza di «avere di fronte a noi una strada aperta, che parte da una continua e sempre nuova scoperta che "Dio è amore"».
Occorrono tuttavia «vie nuove» per «testimoniare oggi, con uno stile credibile di vita, la Speranza che viene da Cristo Risorto, da «ricercare assieme, in modo coraggioso, originale e profetico». Collaborare a questa impresa significa per le Acli rinnovare la propria fedeltà alla Chiesa ed esprimere con consapevolezza e responsabilità la propria vocazione laicale, rifuggendo dalla «tentazione, che sentiamo forte - dicono le Acli - di accontentarci, di adattarci ad una vocazione di serie B, con il pericolo di sentirsi della Chiesa ma non nella Chiesa».
Le Acli hanno concentrato la loro riflessione su tre ambiti tra i cinque proposti dal documento di preparazione al Convegno ecclesiale di Verona: i legami, il lavoro e la festa, la cittadinanza. Pur partendo dalla sofferta constatazione di vivere in un tempo in cui «ogni legame è messo fortemente in discussione» da una società «fortemente individualistica e segnata dall'esperienza del provvisorio», le Acli invitano però a non aver paura se i legami vecchi vengono meno, perché «il tempo è propizio per nuovi legami liberi e maturi», a partire da una nuova e più autentica relazione con Gesù Cristo, cuore e modello di ogni legame.
Quanto al tema del lavoro, le Acli sottolineano innanzitutto la necessità di recuperare il tempo e il senso della "festa" come capacità e opportunità di osservare il nostro lavoro e poter dire, alla fine, "è cosa buona e giusta". Perché «a volte si perde di vista il prodotto, lo scopo per cui si lavora e ancor di più il senso del lavorare». Ma perché il lavoro sia "cosa buona", è necessario che sia un «buon lavoro»: che corrisponda cioè una giusta retribuzione, favorisca la crescita e non il consumo delle capacità dei lavoratori, si svolga in condizioni di sicurezza, appaia ragionevolmente stabile nella sua durata. «Un lavoro buono è un lavoro capace di sintonizzare i tempi di vita». «Un lavoro buono - infine - è un lavoro che porta frutto»: che tiene cioè presente i suoi effetti sulle persone e sulla comunità, che opera quindi per una promozione dell'uomo e della società, realizza beni e merci coerenti con il Creato, che non lo aggrediscano né lo sconvolgano, ricerca vie di solidarietà con i lavoratori più svantaggiati, nel proprio Paese ma anche nei Paesi del Sud del Mondo.
Infine, il tema della cittadinanza. Secondo le Acli, tra i mali che minacciano la democrazia c'è lo «smarrimento di un uso corretto, vero della parola e pertanto la perdita della fiducia tra le persone e tra i corpi sociali». La democrazia si svuota, finisce per ridursi a metodo disancorato dai principi di fondo. C'è dunque bisogno di recuperare una parola autentica per ricostruire legami forti e veri. C'è bisogno di ricostruire un «alfabeto sociale cristiano» che possa essere un alfabeto comune condiviso. C'è infine bisogno di «riscoprire una coscienza di popolo», per «recuperare un'esperienza comune», «promuovere momenti di comunità per superare il ripiegamento individualistico e le lacerazioni sterili», stimolare la partecipazione dei cittadini potenziandone la capacità deliberativa.
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