lunedì, maggio 08, 2006

Appunti di viaggio dal CTA di Potenza: SULLA STRADA DEI RE CON LAWRENCE D’ARABIA

(un pò lungo ma tanto intrigante) grazie all'autore.

Amman grande capitale del Medioriente, un milione e cinquecentomila abitanti, forti radici nell’Islam e tante aperture alla nuova urbanistica occidentale.

Città interessante per le strutture moderne del suo centro direzionale e finanziario di prim’ordine che pure conservano elementi della tradizione. Palazzi alti e meno alti, sempre bianchi e tutti con la facciata rivolta verso La Mecca.

Un cantiere in attività, segno di una capacità commerciale ed economica in contrasto con il resto della città antica, la Medina, dove le case tutte bianche, sempre bianche, fatte con la pietra delle vicine miniere di Re Salomone, lasciano spazio ai molti minareti svettanti verso il cielo a segnare un’attenzione di fede e l’osservanza per le tradizionali preghiere.

Il Muezzin si affaccia cinque volte al giorno e la sua voce, per noi sempre suggestiva, ricorda ai fedeli che “Allah -u- Akbar” Allah è grande.

Imponente e suggestiva è la moschea di Hussein, tutta bianca con le cupole verdi, voluta da Re Hussein, illuminato e lungimirante sovrano molto amato dal suo popolo.

La casa di Allah è aperta a tutti. Al musulmano che ogni venerdì va per ascoltare il sermone dell’imam, per pregare e per riposarsi, per trovare un po’ di fresco alla calura dell’estate. È aperta anche alle donne, purchè in orari non frequentati dagli uomini. Anche a chi non è di fede islamica, purchè sia obbediente alla raccomandazione di entrare scalzo e coperto. Più rigore è richiesto alle donne occidentali con l’obbligo di indossare un kaftano nero, lungo fino ai piedi e con un cappuccio calato fino agli occhi.

All’esterno, le fontane per le piccole e le grandi abluzioni stanno a rinnovare il rito della purificazione, nato mille e mille anni fa quando occorreva educare il viandante proveniente dai lunghissimi viaggi nel deserto a togliersi di dosso polvere, sabbia, sporcizia e impurità prima di entrare nella casa di Allah e incontrare altri fedeli. E’ l’educazione alla vita civile e ai precetti religiosi, contenuta nel Corano: punto di incontro della legge civile e della legge religiosa.

Il ventre molle della città ti prende per il suo fascino mediorientale: il souk pieno di luci e colori, bancarelle di spezie, di mercanzie di ogni genere esposte in apparente disordine e capaci di indicare che lì è la merce da comprare, lì è il medioriente.

Lo percorri timoroso di incontri preoccupanti, dimostrando in questo tutto il pregiudizio occidentale e dimenticando che ogni mondo è paese, che ogni città di sera presenta i suoi rischi e i suoi pericoli. Invece l’attenzione, la cordialità e la capacità ospitale di questa gente ti sorprendono ad ogni passo. Percepisci finanche gli odori e gli umori della gente che invita a contrattare “souvenir souvenir”, guardandoti con curiosità, ma con rispetto, e dicendoti che è ormai tempo che ad Amman tornino gli italiani, perché negli ultimi tempi sono venuti solo gli spagnoli.

La curiosità tutta occidentale ti porta a voler capire come vesta la donna giordana: la incontri con il chador, con il kaftano nero e lungo fino ai piedi e che lascia scoperte solo le mani e gli occhi, ma anche con jeans e aderenti camicette, portate con disinvoltura, che danno la misura di una crescente emancipazione femminile.

In quanto agli uomini, i colori della kefia indicano che esiste una distinzione tra gli arabi: giordani, palestinesi, sauditi. Quella bianca e rossa è dei giordani, quella bianca e nera (oh!…Arafat) è dei palestinesi, quella tutta bianca è dei sauditi. Sono distinzioni che coincidono anche con l’appartenenza alle differenti classi sociali: la più umile resta, da sempre, quella palestinese, una volta numerosa in questo paese prima del tragico settembre nero.

E le idee? Quelle restano ancora vestite dai fondamenti dell’islamismo e lentamente, ma gradualmente, si aprono alla modernità.

L’itinerario è Monte Nebo, il Wadi Mujib, Madaba, la leggendaria e mitica Petra, Aquaba, il Wadi Rum.

Ya Allah! (andiamo!) E’ un paese affascinante la Giordania!

Il Wadi Mujib è la valle dove ha inizio il deserto: contrafforti montuosi, una terra incredibilmente arida ma suggestiva. La leggenda vuole che questa sia la valle dove il diavolo tentò Gesù.

Dune di sabbia rossa, vallate aspre e, in fondo, l’Arabia Saudita, il deserto, La Mecca. E’ da lì che spira il Ghibli, il vento del deserto. In arabo La Mecca si dice Gibily da ciò il nome del vento che soffia impetuoso in questa valle dove a perdita d’occhio non trovi traccia umana.

E’ una suggestione unica! Capisci, allora, come il nulla possa anche affascinarti.

E’ un paese che dà forte emozioni, come Petra: il sogno scavato nella roccia.

La città nabatea scavata nella roccia arenaria tanto friabile da poter essere scalfita con un dito. E’ per questo che duemila anni fa, qui, è stato possibile creare opere di straordinaria fattura: procedendo nello scavo dall’alto verso il basso sono stati costruiti templi, palazzi, colonne e capitelli, statue con straordinaria capacità di raffigurazione.

Ne è scaturita una città misteriosa, tenuta nascosta per mille anni al forestiero e scoperta, casualmente, solo cento anni fa da un europeo che aveva sentito parlare di questa mitica città di cui tutti sapevano ma che nessuno diceva. Che non sia nata propri qui l’Araba Fenice, che tutti sanno dov’è ma che nessuno dice?!

Per trovarla imparò l’arabo, studiò i costumi e le abitudini dei beduini, per anni si confuse tra loro e un giorno si avviò con una carovana, beduino tra i beduini percorrendo la strada che un tempo era la via dell’incenso. Fortuna volle che la carovana passasse per Petra e così poté scoprire questa meraviglia degli occhi.

Una città che era condivisa dai vivi e dai morti, tombe per il culto dei morti ma anche case per la vita quotidiana, palazzi, facciate splendidamente ornate. I romani poi vi sovrapposero le loro architetture: il foro, il teatro costruito su quello nabateo.

Città dei nabatei, posta non lontano dal mare dove arrivava la via dell’incenso e delle spezie, arricchitasi con gli esosi pedaggi pretesi dalle carovane di passaggio, fino alla sua decadenza nell’anno 104 d.c..

E’ indescrivibile l’emozione che si prova arrivando da una gola strettissima e profonda, il Sik, scavata dall’acqua e dal vento tra pareti di roccia arenaria dai cento colori.

Dopo aver camminato per un chilometro in questa fenditura stretta da pareti altissime, all’improvviso, intravedi i tratti del Tempio del Tesoro, forse il più bello.

Più vai avanti più la vena si apre e più scopri la bellezza e lo splendore di questo tempio dai colori rosa, rosso, ocra, arancio, secondo le tonalità che la luce del giorno decide di donargli: il tempio si erge su uno scalone e si slancia con poderose colonne e architravi, capitelli raffinati e magnificamente conservati nel tempo.

Resti senza parole e, senza esagerare, con la pelle d’oca. Ti riprendi dall’emozione cercando l’ombra di un costone e, allora, realizzi che Indiana Jones non poteva che venire qui “alla ricerca dell’Arca perduta”.

E’ un’emozione che vorresti ripetere. Più volte torni a percorrere questa gola e a rivedere l’apparire del Tempio del Tesoro: ma non è mai come la prima volta.

E’ un tempio che appare. Petra è una città che ha proprio la magia dell’apparire improvvisamente, in uno scenario di montagne tanto aspre e fitte che non riesci a scorgere le valli e i canyon, i Wadi, che esse pure contengono. Da lontano vedi solo monti e, in cima a uno di questi, un punto di un bianco illuminante: la tomba di Aronne!

Hibrahim, padre di tutte le guide, si lascia andare ad una appassionata descrizione del rito del matrimonio “le mariage”.

Parla dell’abitudine di presentare la sposa in giovanissima età alla famiglia dello sposo; di tutti gli accorgimenti per riuscire a capire se la sposa sia bella o brutta, avvenente o presentabile; di tutte le astuzie per scoprire se lo sposo possegga un patrimonio sufficiente a mantenere la famiglia che ne verrà.

Usanze e abitudini che, per molti tratti, richiamano quelle in uso fino a poco tempo fa – e in qualche caso ancora oggi – in alcuni paesi del nostro entroterra.

E’ appassionato Hibrahim, si diverte e fa divertire.

Sei fortunato se ti capita di poter assistere ad un matrimonio in un albergo della città. Gli sposi, elegantissimi, circondati da una gran folla di amici e parenti, vengono accompagnati fin sulla porta della loro stanza, al suono di flauti e tamburi e con quel battito ritmico delle mani che ho visto fare solo dagli arabi e dagli spagnoli-andalusi.

Da un altopiano scopri la bellissima valle di Shebak sovrastata da montagne lontane e vicine, solcate da profondi calanchi con ai piedi dune dai colori che vanno dal rosa al verde e al giallo. Somiglia moltissimo alla valle del fiume Cavone, ai calanchi di Aliano e Alianello, in Basilicata. E’ identica: montagne segnate da profondi calanchi, di un biancore giallastro che si produce in sfumature varie e diverse. Sembra davvero la valle del Terzo Cavone nel materano. Bellissima!

L’occhio si riempie di questa fantasmagoria, si lascia prendere dalla bellezza del posto e non riesci a distoglierlo.

La strada è la mitica Strada dei Re, la strada del deserto, che si diparte da Aquaba e arriva fino ad Amman e a Baghdad.

Percorsa da grandi tir pieni di mercanzie, da autocisterne che hanno portato il petrolio ad Aquaba, provenendo da Baghdad e aggirando così l’embargo ancora esistente nell’Iraq.

Parallela alla strada, la leggendaria ferrovia di Lawrence d’Arabia che da Damasco attraversa la Siria, tocca Amman e arriva al porto di Aquaba.

AD AQUABA!!! Era questo il grido di Lawrence d’Arabia quando, dopo l’assalto finalmente vittorioso al treno blindato dei turchi, si mise alla testa delle tribù arabe che era riuscito a mettere insieme – cosa unica e straordinaria – e puntò sul grosso dell’esercito turco, acquartierato nel porto di Aquaba, per sgominarlo definitivamente e scacciare l’odiato invasore.

AD AQUABA!!! Sembra di sentirlo ancora nel vento quel grido.

Sembra di rivedere il famoso film in cui Lawrence,con la jalabia e la kefia bianche dell’arabo saudita, in groppa ad un cammello e alla testa di vocianti schiere di beduini, marcia verso Aquaba. Sembra di rivedere il volto di Peter O’Toole – protagonista del film – pensoso per ciò che avrebbe potuto fare per il Commonwealth e che invece aveva fatto per le tribù arabe, preoccupato per la difficile decisione di puntare su Aquaba.

Il suo sogno era di portare gli arabi a fondare una nazione panaraba, ma questo restò solo un sogno.

Arabia, Kuwait, Iran, Iraq, Palestina, Giordania, Siria, Libano, Egitto parlano la medesima lingua araba, hanno la stessa cultura, e la medesima religione, identici usi e costumi, ma restano fortemente divisi fino a farsi guerra, come è gia successo tra Iran e Iraq, Giordani e Palestinesi, Iraq e Kuwait.

Hibrahim non parla molto di Aquaba e della storia di Lawrence d’Arabia, Sir Thomas Edward.

In verità è una storia tutta occidentale e un mito tutto europeo. Gli arabi vedono Lawrence come un estraneo e, ancora oggi, non comprendono per quale motivo e al servizio di quale interesse avesse posto la sua opera e la sua politica.

E’ ritenuto dagli arabi una spia dei turchi, proprio così, un agente segreto che coltivava interessi non favorevoli al mondo arabo, ma a quello occidentale. Ieri era sicuramente amato da pochi, oggi conosce l’indifferenza dei più.

Ya Allah, verso Aquaba.

Scorgi in lontananza, sotto montagne e spuntoni rocciosi contornati da dune di sabbia rossiccia, sparse, le tende nere dei beduini.

Recuperi nella memoria la sacralità della tenda, tutta la storia di Mosè, l’esodo della sua gente dall’Egitto, il passaggio del Mar Rosso e il viaggio per queste terre verso il monte Nebo, di fronte a Gerusalemme, detta in arabo Al Quds.

La tenda dei beduini, la casa di sempre! L’arabo non riesce a distaccarsi dalla sua tenda. Oggi non è raro vedere nella stessa città, accanto alla casa moderna in muratura, che il beduino è riuscito a costruirsi, anche la tradizionale tenda. L’arabo preferisce vivere lì i suoi momenti conviviali, gli incontri con i suoi amici e le feste familiari.

E’ fortissimo il contrasto fra il cielo fortemente azzurro, i colori di queste montagne, il blu intenso del Mar Rosso e la città di Aquaba tutta chiara e moderna. Più su c’è Eilat, israeliana, confinante con Aquaba. Chiude il golfo Taba, egiziana, con alle spalle il Sinai, le sue montagne e il suo deserto.

Aquaba è l’unico sbocco al mare che possiede la Giordania.

Qui Israele custodisce e controlla attentamente la sua porta sul Mar Rosso. Qui l’Egitto ha rivendicato, insieme al territorio del Sinai, la sua competenza territoriale sul Mar Rosso. E’ qui che i Sauditi dell’Arabia hanno mantenuto il loro passaggio per avvicinarsi al Mediterraneo.

Siamo nella terra di Re Edom, detto il rosso.

E’ qui che iniziò il viaggio di Mosè, dopo aver attraversato il Mar Rosso per arrivare in Palestina, la terra promessa.

Qui Mosè incontrò Edom che con un potente esercito gli impedì di passare. E allora Mosè, con gli uomini stanchi del lungo viaggio, aggirò l’ostacolo e proseguì verso nord, verso il monte Nebo e la terra promessa. Questo accadeva migliaia di anni fa qui, nella terra di Edom, che in arabo significa rosso e che ha dato il nome a questo mare: “mare di Edom, mar Rosso”.

Una piacevolissima sosta ad Aquaba serve a ristorarti con un buon bagno nel Mar Rosso, in uno stabilimento balneare di tutto rispetto, pulito, piacevole e organizzato. Un’ottima orata del Mar Rosso con varie salsine arabe – salsa di ceci, di melanzane, yogurt - e molta insalata verde, con un ottimo bicchiere di birra giordana, rigorosamente analcolica perché nei locali pubblici non si servono alcolici, e dopo riprendi a percorrere la Strada dei Re per deviare poi verso il Wadi Rum.

Il primo luogo importante che si trova oltre queste montagne è il Wadi Rum che per secoli ha costituito l’unico varco verso l’Arabia Saudita.

Lì attendono i beduini con le land rover per farti scorazzare sulle piste del deserto.

Ritrovi lo splendido paesaggio fatto da montagne di arenaria rossa, dalle dune che anticipano il deserto più assoluto dell’Arabia.

E’ difficile descrivere le sensazioni che produce il Wadi Rum, la Valle della Luna.

Nei miei numerosi viaggi difficilmente la natura è riuscita a darmi sensazioni ed emozioni come queste.

Vengono in mente le parole di Lawrence d’Arabia davanti a questi luoghi:”la nostra carovana si rese conto della propria piccolezza e diventò taciturna, timorosa e vergognosa di ostentare la propria meschinità alla presenza della meraviglia dei monti”.

La musica del film Lawrance d’Arabia introduce bene al Wadi Rum.

Si presenta con una roccia estesa e imponente, circondata da dune, solcata nei fianchi da calanchi che formano sette pilastri: una costruzione fatta dall’erosione del vento e della pioggia e che gli arabi chiamano i Sette Pilastri della Saggezza, per ricordare agli uomini che solo la grande saggezza della natura può aver concepito una costruzione così magnifica. Da qui il titolo del libro scritto da Lawrance d’Arabia.

Resti senza parole a fotografare e osservare, a pensare questo magnifico paesaggio che assomiglia solo alla Monument Valley, nello Utah.

Certo quella è più famosa per tutta la letteratura e i films che vi sono stati girati, ma questa è più naturale, di una bellezza selvaggia che ti prende e ti toglie le parole.

Oltre è il deserto, magnifico e straordinario, un tempo ricco di acqua, con la sabbia che si tinge di colori diversi, il rosso e l’ocra e l’indaco e il giallo dai riflessi verdi.

Percorri questa valle a bordo di scassate toyota che i beduini, padroni del deserto, guidano con estrema perizia e con grande incoscienza. Piste che solo loro conoscono, che tu non vedi e sicuramente farebbero insabbiare un autista come noi facendogli finire lì la sua marcia nel deserto. Guidano con perizia, ma i sobbalzi sono atroci su queste toyota. Il rischio per i maschietti è di uscirne con tonalità da voci bianche. Tutti con la jalabia e la kefia, comunque con un tratto arabo, sono felici di attraversare una valle che è un ingegno della natura.

Il mare di sabbia, le dune contornate da straordinarie montagne tinte dal sole, l’artista di sempre, con tonalità e colori differenti.

Ti avvicini ad un accampamento tendato di beduini ed intuisci, già da lontano, il loro modo di vivere.

Accanto alla tenda una canaletta porta l’acqua che un beduino è riuscito a trovare bucando la roccia. Sì, bucando la roccia! Proprio qui vicino, al Wadi Musa, Mosè fece zampillare l’acqua bucando la roccia con il bastone.

Piste rosse una volta battute da carovane che andavano lontano, portando mercanzie, spezie e quant’altro potesse essere necessario da scambiare con altri popoli. E con le spezie si scambiavano anche le idee.

Il deserto è una grande utilità, per chi lo conosce. Solo per chi lo conosce, però! E’ una via che serve ad abbreviare, e chi lo conosce sa di poter raggiungere la meta attraversandolo ed evitando così giri interminabili. Il deserto, per chi lo conosce, è utile a non farsi trovare e a viverci libero di spostarsi da un posto all’altro.

E’ proprio vero che esercita un fascino unico, incredibile: il fascino del nulla. Tu sai che lì c’è il nulla, ma sai anche che a percorrerlo riesci, comunque, a trovare ciò che cerchi, sia esso un luogo lontano come Timbuctu o una tenda beduina. Sai che puoi attraversarlo ed arrivare nel luogo che vuoi: forse un luogo dello spirito!

Tornano alla mente i mille films e la sterminata letteratura.

Ti ricordi, allora, che nella tua cultura prima di diventare un turista sei stato esploratore, missionario, antropologo, avventuriero, …colonizzatore.

Appare quello che sembra un quadro classico: sotto l’ombra di una roccia, l’unico albero di pistacchio che si incontra in tutto il tragitto e, vicino, il cammello, il cammelliere le sue capre.

Sui piedi sabbia rossa. Hibrahim spiega l’uso che ne fanno i beduini cospargendosi il viso di sabbia impastata con l’acqua: è un belletto. Truccarsi, farsi belli con ciò che la natura di questi luoghi può offrire: la sabbia, il sole e le rare e preziose vene d’acqua.

Dopo aver visto dei graffiti nella roccia, che riportano alla notte dei tempi, quando gli uomini segnavano con la scrittura il loro paesaggio, ti accorgi che il sole comincia ad abbassarsi sulle montagne e ti prepari ad un’ora dolce e misteriosa: il tramonto.

Ti arrampichi – incredibilmente senza fatica – su una roccia e attendi che il sole si nasconda dietro ai monti.

Sembra che il sole si sposi con queste montagne, scendendo lentamente e cangiando in sfumature diverse, mentre i raggi creano uno scenario straordinario che sollecita grandi pensieri. E’ il punto di incontro tra natura allo stato puro e pensiero: nostalgie, sentimenti, immagini, emozioni.

Impossibile staccarsi da questa roccia con un tramonto così: e’ bellissimo!

Ti genera dolcezza, ti fa sentire in pace con il mondo e ti porta lontano nel tempo. Staccarsi è impossibile, andar via non è facile. Vorresti fermare il tempo, sospenderlo.

Hibrahim intona la preghiera del Muezzin: è un lamento deciso, forte, che esprime le lodi ad Allah.

Allah -u- Akbar, Allah è grande. Ed è davvero grande il buon Dio che ha creato tanta meraviglia.
Filippo Pugliese

2 commenti:

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

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