mercoledì, aprile 03, 2019

CIVES, Roberti: “La vera forza delle mafie sta fuori dalle mafie”


I cittadini sentono forte l’esigenza della legalità. Lo testimonia la forte affluenza di pubblico al decimo incontro di Cives – Laboratorio di formazione al bene comune dal titolo “Forti contro la corruzione e le mafie”, che si è tenuto presso la sede del Centro di cultura “Raffaele Calabria” il 2 aprile. Relatore atteso ed applaudito Franco Roberti, attuale assessore regionale alla sicurezza, già Procuratore nazionale antimafia. A rendere omaggio a Roberti le massime autorità civili, militari e politiche della città. Tra di essi il prefetto Francesco Antonio Cappetta, il procuratore della Repubblica di Benevento Aldo Policastro ed il procuratore aggiunto Giovanni Conzo, il Vicario del Questore Francesco Marino, il colonnello Alessandro Puel alla guida del Comando provinciale Carabinieri di Benevento, il comandante provinciale della Guardia di Finanza colonnello Mario Intelisano e il Vice comandante della Polizia municipale di Benevento Fioravante Bosco. Verso la fine dei lavori è giunto anche l’Arcivescovo di Benevento Mons. Felice Accrocca.
Ha introdotto i lavori Ettore Rossi, direttore dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della diocesi di Benevento che ha ricordato Papa Francesco e la sua citazione: ”La corruzione è il linguaggio più comune delle mafie”. Essa è responsabile in modo trasversale di tanti dei nostri attuali problemi di sviluppo, del “furto di democrazia” nelle parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e persino del fenomeno della migrazione. Molti, infatti, fuggono dalla corruzione che affligge i Paesi di provenienza. Rispetto alle mafie il problema della corruzione sembra essere meno sentito e, se dopo le stragi degli anni Novanta  è cresciuta la sensibilità rispetto al fenomeno mafioso e si avverte più forte la necessità di contrastarle, della corruzione si percepisce ancora poco in merito alla pericolosità, altrettanto preoccupante per gli addetti ai lavori, ma quasi un vezzo per tanti cittadini comuni. Da recenti indagini internazionali l’Italia si colloca al 53° posto in materia di corruzione. “Di certo, può esservi uno scollamento rispetto ai dati reali”, rassicura Rossi, “ma è certo che per gli investitori esteri il nostro Paese non è molto appetibile a causa del problema”. Prima di concludere il suo intervento il direttore della pastorale sociale incita i tanti giovani a cooperare perché la nostra provincia si attivi per il “ben vivere” e richiama un punto del “Decalogo del buon politico” di don Luigi Sturzo, così attuale, a distanza di oltre un secolo e vi trae uno dei principi fondamentali cui dovrebbe ispirarsi ogni politico serio: ”Se ami troppo il denaro non fare attività politica”.
Anche per Michele Martino referente provinciale di “Libera” sono i giovani il fulcro per la costruzione di una nuova coscienza civica. Vanno dotati di conoscenza, consapevolezza e responsabilità, dice. “Non potremo mai essere liberi e forti se non riconosceremo le nostre mafie, i clan che pure affliggono la nostra provincia, le mafie  su cui si indaga nella Valle Caudina o quella che a S. Lorenzo Maggiore ha impiantato il racket dei rifiuti”. Il modo in cui si banalizza il parlare di mafie rischia di farne un evento meramente narrativo, fine a se stesso. Parallelamente occorre tenere viva la memoria di quanti, anche nel Sannio, hanno pagato con la vita l’essere al servizio dello Stato e della comunità. “Sostituire l’io con il noi” è la sfida che ci compete. Poi loda l’iniziativa della Prefettura di Benevento, impegnata nella restituzione dei beni confiscati alle mafie, perché, restituiti alla comunità, siano forieri di iniziative di occupazione. Sul valore del recupero culturale ed economico dei beni confiscati si innesta l’intervento di Franco Roberti che lamenta le difficoltà dell’Agenzia nazionale a valorizzarli con l’ingegno e le professionalità di cui i nostri territori dispongono a iosa. Molto sta cambiando, rassicura l’ex procuratore antimafia: dal 2012 esiste in Campania una  legge regionale che si pone l’obiettivo di recuperare alla comunità i beni confiscati che attualmente sono oltre 5000, con 720 aziende produttive. La corruzione, sostiene Roberti, testimonia dell’evoluzione delle mafie che, l’hanno sostituita alla violenza. Dopo le stragi degli anni ’90 le mafie hanno mutato il proprio modus operandi: non più sparatorie, che minano la quiete apparente sotto cui può prosperare il malaffare, ma un patto di omertà che lega il corruttore al corrotto  senza il ricorso ad azioni eclatanti. Le mafie si sono evolute anche grazie ad alcuni fenomeni che hanno rivoluzionato la società civile. La globalizzazione in primis, che ha avvantaggiato l’esportazione di denaro proveniente da attività illecite nei cosiddetti “paradisi fiscali”, cui hanno contribuito  la debolezza dei mercati e la permeabilità delle Pubbliche Amministrazioni; il vuoto normativo in alcuni Stati e l’incrocio tra domanda e offerta  in ambito criminale, si pensi allo smaltimento illecito di rifiuti, allo spaccio di droga, le estorsioni, il cybercrime, e il ritorno in termini di appoggio elettorale, per citare qualche esempio. “La vera forza delle mafie sta fuori dalle mafie, risiede nel mondo civile e si nutre della corruzione che striscia e permea la società civile”, si dice certo l’assessore. Si tratta ormai di corruzione sistemica, la stessa che ha prodotto il “mondo di sopra e quello di sotto” di Carminati e Buzzi a Roma. Tra di loro vi è il mondo di mezzo, in cui si insinua il fenomeno della corruzione, difficile da stanare, anzi da riconoscere. Di fatto, al processo di primo grado i due personaggi chiave di “Mafia capitale” non furono riconosciuti soggetti mafiosi; si è dovuti arrivare al processo di appello perché le prove risultassero inconfutabili. Quali strumenti abbiamo per combattere mafie e corruzione? Si chiede l’ex procuratore. Si dice soddisfatto della normativa esistente in Italia. La Convenzione di Merida del 2003 ha implementato i campi di azione e di deterrenza e oggi molte leggi antimafia sono adottate per combattere anche la corruzione, ma il problema resta la mancata sinergia in campo internazionale. In Europa vige dal 1970 l’istituzione della PESC (Politica estera di sicurezza comune), e anch’essa ha le sue falle, ma con Paesi come la Nigeria, la Romania, l’Albania è difficile la cooperazione e l’intesa comune sui temi della sicurezza. Estradizioni tempestive, comuni approcci alle indagini, scambio di informazioni, memoria informatica donata ad altri paesi sono alla base dell’affermazione di uno Stato di diritto che si rispetti e che rispetti i suoi cittadini. Quei cittadini che, secondo Roberti, hanno perso fiducia nelle istituzioni per l’assenza di una comunicazione veritiera ed efficace sulla sicurezza. “Avevo proposto la figura di un procuratore europeo che svolgesse le stesse funzioni di un procuratore antimafia, ma la proposta è stata accolta solo da 22 dei Paesi della UE” e non se ne è fatto nulla”.

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