sabato, giugno 11, 2011

"L'AMBIGUO RISPETTO. RIFLESSIONI ANTROPOLOGICHE SU INCONTRI CULTURALI CONOSCERE L'ALTRO E' TAPPA OBBLIGATA"

IMMIGRAZIONE- ACLI COLF: "L'AMBIGUO RISPETTO.
RIFLESSIONI ANTROPOLOGICHE SU INCONTRI CULTURALI"-
SIGNORELLI(UNI NAPOLI):"CONOSCERE L'ALTRO E' TAPPA OBBLIGATA "


“Conoscere l'altro è per ciascuno di noi una tappa obbligata. E’, infatti, a partire dal nostro rapporto con gli altri che si possono costruire percorsi, sia a titolo individuale, come rappresentanti di strutture e come cittadini, per giungere a strategie che portino ad una pacifica convivenza.” Così Amalia Signorelli, professore ordinario di Antropologia culturale all’Università di Napoli, in un approfondimento tematico promosso in seno ad ACLI –COLF dal titolo: “L’ambiguo rispetto. Riflessioni antropologiche sugli incontri culturali” .

L'incontro, tappa ulteriore di un ciclo di incontri dedicati all’approfondimento della prevenzione del conflitto nell’ambito del lavoro domestico e di cura, ha messo in luce come la casa diventi territorio di confine e di incontro tra culture diverse che dovrebbero convivere pacificamente e comeì "la complessità giunga fino nel cuore delle nostre vite".

“Quello italiano è, in sostanza, un caso difficile poiché è affetto, nei confronti dei migranti da “un atteggiamento schizofrenico” con strutture, come quella delle Acli, nelle quali gli immigrati si inseriscono in maniera tutt’altro che conflittuale; con una scuola che in molti casi sa accogliere la diversità. Al contempo, abbiamo una legislazione molto dura ma regolarmente costellata da sanatorie”. Questo, secondo Amalia Signorelli il quadro di riferimento in cui si muove la vita dei migranti in Italia.

Per Signorelli: “Gli italiani si dividono in due filoni”. E anche qui emerge l’atteggiamento schizofrenico che percorre la società: “il primo ha un orientamento fortemente etnocentrico con pesanti scivolamenti verso il razzismo”, l’altra, la parte maggioritaria, mostra “rispetto delle culture altre” .

“E’ da questo filone – ha spiegato ancora Signorelli- che è stato formulato il concetto di multiculturalismo: un’idea che in altri paesi, con una grande tradizione di immigrazione, ha già avuto una connotazione politica: come in Gran Bretagna, in Olanda, ma anche Australia e Canada, paesi di “meticciato” per definizione”. “L’Italia – ha proseguito la studiosa- ha avuto una grande tradizione migratoria: l’emigrante italiano era alla mercé di tutto e tutti quando, nell’epoca della maggiore ondata migratoria gli emigranti italiani si muovevano verso i paesi più ricchi. L’Italia, a quel tempo, non faceva patti bilaterali, come oggi, ma proponeva solo contingenti e scambi”. “Eppure – è stato concluso durante il dibattito- questa forte esperienza di buona parte della nostra popolazione non è stata elaborata da tutti”.

Quanto al concetto di multiculturalismo, ebbene, secondo Signorelli: “il termine può essere usataocon diverse accezioni che è bene distinguere: la prima, un’accezione descrittiva sulle società multiculturali ovvero quelle in cui ci sono gruppi portatori di culture diverse”. "Tuttavia – ha fatto presente più volte la studiosa- non esistono società non miste. Tutte le culture sono ibride e sono dunque multiculturali, non esiste al mondo una società non multiculturale. Anzi, il multiculturalismo, in alcuni paesi, diventa sintesi e cultura locale”. L’altra accezione è relativa all’uso uso prescrittivo del termine. “Ma – ha rilevato- non basta volere la convivenza pacifica perché questa avvenga. Occorre, invece, conoscere la situazione e costruire una strategia per arrivare ad una convivenza pacifica. La competenza antropologica nell'analisi della situazione è, dunque, molto utile”.

Una competenza che mette in luce: "come spesso si consideri la cultura altrui come totalmente compatta e integrata”. Ma “Questa “reificazione della cultura” – ha rivelato l’antropologa - è impossibile perché ogni cultura ha chiaramente all’interno radicali differenziazioni e stratificazioni che sono generazionali e di potere. Senza contare che maschile e femminile sono portatori di pensieri diversi, le donne sono portatrici di differenze culturali sostanziali nell’ambito di ogni cultura”. “Occorrerebbe, dunque, una verifica operativa di convergenze e divergenze”.

“Altro elemento da tenere sotto osservazione - ha poi rilevato l'antropologa- è il mutamento: è un merito degli antropologi francesi l’aver formalizzato il fatto che non c’è cultura che non muta. E la situazione migratoria è aperta al mutamento culturale in maniera massiccia”.

Toccato, in ultima battuta, il tema della sicurezza : “tutto il problema della sicurezza evoca la figura minorataria del migrante di pelle scura, dedito a sopravvivenze di forma piratesca. Eppure non è certo quello che tocca maggiormente le nostre vite. Ma questo è lo stereotipo. Mentre la presenza dei migranti in Italia sta incidendo in tutt’altri modi: l’accompagnamento alla morte degli anziani e le nascita di nuove generazioni sono totalmente delegati agli stranieri” .

E, infine, la cittadinanza che non sempre gli stessi immigrati dichiarano di non volere se non per motivi di convenienza "ognuno di loro fa esperienze diverse- ha rilevato Signorelli allieva di De Martino- che ha ricordato il concetto da lui formulato di “patria culturale” ossia non fondato sul senso di appartenza al luogo di nascita ma relativo alla scoperta di appartenere ad un luogo dove si è compreso qualcosa di importante per se stessi, dove si è fatto qualcosa di buono e dove dunqu può emergere una “dimensione morale dell’uomo adulto”.

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