domenica, dicembre 05, 2010

ALLA FIERA DEL LIBRO A ROMA “VIALE DELLE INDUSTRIE” romanzo d’esordio di Mariarosaria Liguori.


Grande gioia in casa dell’associazione “Il Sogno è Sempre Onlus”: alla fiera PIU’ LIBRI PIU’ LIBERI, che si svolge a Roma dal 4 all’8 Dicembre 2010, farà la sua prima uscita in pubblico il romanzo “VIALE DELLE INDUSTRIE”- IBISKOS EDITRICE RISOLO.

Segnalato al premio letterario IBISKOS 2010, è il primo romanzo di Mariarosaria Liguori, scrittrice esordiente partenopea trasportata dal vento in Valle di Suessola.

Ne ha curato la presentazione Don Tonino Palmese.

In forma lieve e gradevole vi si affrontano tematiche di scottante attualità.

Ambientato in un quartiere periferico della città di Napoli, che vive oggi una stato di degrado e di abbandono, il racconto si dipana in un intreccio tra presente e passato,

per costruire un futuro migliore, dove l’arte e la bellezza sono i compagni di viaggio prediletti degli uomini di ogni tempo.

E’ un’ elogio della normalità, fatta di gesti quotidiani, di piccole cose da custodire e salvaguardare, e di grandi sogni, da realizzare con concretezza e perseveranza.

Agile, snello, VIALE DELLE INDUSTRIE si legge con gusto e con piacere e offre ai lettori una storia intensa e ricca di emozioni.

Nei prossimi giorni “Il Sogno è Sempre Onlus” presenterà il romanzo nella Valle di Suessola.

Informazioni sul romanzo e scambi di opinioni con l’autrice sono possibili sul sito ufficiale www.vialedelleindustrie.com


la presentazione Don Tonino Palmese.
Sapete perché questa che state per leggere è una bella storia? Ve lo dico. In questo romanzo ci sono gli ingredientigiusti per comprendere attraverso i sogni di una ragazza, trascritti in un diario e riletti da un “uomo buono”, guardianoin uno stabilimento dismesso, la vita sociale, familiare e affettiva di una generazione lasciata alle nostre spalle soloqualche anno fa. Questa che andiamo a leggere è una storia dove il mondo del lavoro, si incontra con l’amore deigiovani, i loro sogni e le loro speranze e allo stesso tempo un modello di famiglia che cambia per tanti motivi. La storia,anzi le storie qui descritte, hanno il profumo antico e attuale allo stesso tempo di normalità. Una normalità chesecondo il noto psichiatra Viktor Frankl, padre della logoterapia, la si potrebbe identificare con il seguente percorso:“Sono convinto che sono tre le parole per arrivare realizzare il senso della propria esistenza. La prima consiste nel fare qualcosa, nel lavorare, nel creare con la propria attività, nel compiere l’azione giusta. La seconda consiste nel vivere con intensità un’esperienza oppure nell’amare con profondità un’altra persona. La terza consiste nel prendere posizione di fonte ad una situazione molto dolorosa. Ebbene, alla luce di tale suddivisione si può affermare che anchenel Lager può avere senso vivere un’esperienza. La bellezza, la verità, la bontà possono essere vissute anche nel Lager,nonostante si tratti di situazioni particolarmente eccezionali”. Nonostante la condizione di cattività nella quale l’uomodi ieri, come quello di oggi è immerso, resta sempre valida la considerazione di assumere categorie come il lavoro, gliaffetti e il coraggio dell’agire giusto, come elementi determinanti per la nostra felicità, ovverossia la normalità. Questielementi sono presenti in questo romanzo attraverso l’essere e l’agire dei protagonisti. Da essi ci giunge una vera epropria proposta di vita… normale. Una proposta che sana le ferite dell’egoismo, del razzismo e dell’intolleranza che spesso avvelenano le nostre coscienze e le nostre città. Da questo romanzo si alza un appello pressante e tenero allostesso tempo di una civiltà della normalità. Nel confrontarsi con i personaggi e i luoghi descritti con chiarezza e congiusta “partigianeria” dalla scrittrice, sembra di sentire, di vedere e persino annusare i profumi di quel tempo dove ilriscatto delle generazioni, rispetto alle condizioni di povertà e di sudditanza dei loro genitori si facevano utopierealizzabili. Con il termine normalità, mi sembra che si possa esprimere chiaramente una costatazione eun’aspirazione. Si tratta pertanto di ricostruire quel minimo etico collettivo, quel sentire comune, collante socialenecessario per comprendere che si è vivi e felici solo se lo siamo insieme agli altri. Accanto al concetto di normalità, silegge in questo diario ritrovato e nella sua rivisitazione da parte di un uomo finalmente “innamorato”, un intentoimplicito da parte della nostra “narratrice” di trovare nel profondo delle cose il senso di una bellezza mai persa,nonostante le sembianze del territorio. Un’idea di bellezza che non è semplicemente l’apparire fine a se stesso. Unquartiere operaio, nonostante il decadimento della crisi industriale, conserva nella sua storia vite di persone belle, chea loro volta curavano la bellezza dentro e fuori di se. Mi tornano in mente le parole “eversive” di Peppino Impastato,giovane comunista ucciso a Cinisi, in Sicilia per essersi opposto alla mafia mediante una radio che informava e formavaallo stesso tempo le coscienze dei cittadini. Anche Peppino, rimuovendo alcune categorie care alla sua ideologia,recupera la bellezza come antidoto al crimine e alla brutalità delle mafie. Liberare i territori occupati dalle mafiesignifica soprattutto educare le coscienze alla partecipazione democratica per il bene comune e la bellezza, in talsenso si rivela una categoria che fa da collante tra i vari cittadini. Tutti desiderano abitare territori dove si respiraarmonia tra le persone e con la creazione. La bellezza è l’antidoto al razzismo e alla demagogia. Nel film “I centopassi”, egli dice: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura el’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci siabitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È perquesto che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e larassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. La cattività che spesso incombe nella nostrasocietà avanza grazie anche (e non solo) al gusto brutto delle nostre realtà abitative, territoriali, lavorative e spessoanche educative. Educare alla bellezza, vuol dire ridisegnare attraverso una partecipazione attiva le nostre città, iluoghi nei quali l’Agorà diventi lo spazio dove sperimentare la condivisione, la crescita comune in vista poi dellacomunione. Inoltre, la bellezza non si ferma all’estetica. La bellezza è prima di tutto una questione etica. Dostoevskij,nel romanzo “L’idiota”, più volte ripete: “è vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dallabellezza?”. La bellezza che salva il mondo è l’amore condiviso. C’è un esercizio di memoria che va fatto: ricordare aquando risale l’ultimo incontro con l’altro, epifania del volto di Dio. Quel volto attraverso il quale Gesù si identifica e cichiede se l’abbiamo accolto, sfamato, dissetato e visitato. Fuori da questa memoria non sarà mai possibile incontrare la bellezza. Forse qualche emozione. Ma queste sono fiori belli e quasi sempre privi di radici. La bellezza perciò, deve necessariamente tornare nelle nostre argomentazioni sociali, politiche e religiose. La poesia e la prosa che si incontra percorrendo la strada che porta all’abitazione della giovane protagonista, al bar e alla fabbrica dismessa, sembra lastessa narrata e cantata da Fabrizio De Andrè, eversiva più che mai, in quanto elogiativa di paradossali contraddizionidell’intera esistenza umana. “Ama e ridi se amor risponde/ piangi forte se non ti sente/ dai diamanti non nasce niente/dal letame nascono i fior,/ dai diamanti non nasce niente/ dal letame nascono i fior”.
Don Tonino Palmese

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