«Senza pane né speranza». L’urlo del cardinale Crescenzio Sepe fa luce su una realtà già fotografata da numeri bui. La storia della crisi made in Naples è raccolta in decine e decine di cifre. Rapporto povertà, disoccupazione, cassa integrazione e lavoro a chiamata: sono tanti gli indici della depressione. E gli analisti non hanno dubbi: nonostante i timidi segnali di ripresa registrati in questi mesi, la crisi economica continuerà a far crescere l’esercito dei senza lavoro. Il confronto tra il tasso di disoccupazione con le previsioni occupazionali degli imprenditori è impietoso: alla fine del 2010 il saldo sarà ampiamente negativo, 5.650 occupati in meno, cifra da aggiungere ai 136.738 disoccupati che nel 2009 hanno fatto segnare un tasso di disoccupazione pari al 14,6%. Così, l’Istat sottolinea un incremento del numero di campani in cerca di lavoro, nel primo trimestre dell’anno, da 250.000 a 284.000. E la Cgil, ad agosto 2010, notifica un aumento del 28,74% delle ore di cassa integrazione autorizzate per un volume pari a 36.398.499. Percentuali a parte, tra gennaio e agosto sono stati 56.873 i lavoratori costretti ai box in Campania, degna chiosa del quinquennio peggiore da quando è stata attivata la cassa integrazione come strumento di intervento tampone sulla crisi nell’industria. E ancora, cresce a dismisura anche il numero di lavoratori assunti a intermittenza con contratti a chiamata: dagli 863 del 2007 ai 1.430 del 2009, segno che il ricorso al job-on-call comincia a riscuotere un certo successo pure tra gli imprenditori della Campania. Così, tra impiegati, operai o consulenti licenziati e giovani in cerca di prima occupazione, dipendenti in cassa integrazione e lavoratori costretti a lavorare tre mesi sì e tre mesi no, crescono sempre di più i nuovi poveri, un esercito invisibile che tale non è più. I numeri non ammettono repliche: nel 2009 – ultimo dato disponibile – l’incidenza della povertà relativa è pari al 25,1%, quasi quindici punti percentuali in più rispetto alla media nazionale, ferma al 10,8%. Se è vero che, tenuto conto dell’errore campionario, la povertà risulta stabile rispetto al 2008, è altrettanto vero che Napoli e la Campania mostrano un aumento del valore dell’intensità della povertà assoluta dovuto al fatto che il numero di famiglie assolutamente povere è rimasto pressoché identico, ma le loro condizioni medie sono peggiorate. Of course, nel Mezzogiorno intero, l’incidenza di povertà assoluta aumenta per le famiglie con persona di riferimento operaia, (dal 5,9% al 6,9%). È l’esercito dei nuovi poveri, figli della crisi economica, nella stragrande maggioranza dei casi sono individui e famiglie che affrontano una condizione nuova e imprevista di disagio e deprivazione materiale, dovuta all’improvvisa decurtazione o al venir meno del reddito da lavoro. Accanto a queste nuove forme di povertà, sopravvivono da un lato le povertà tradizionali, dai rom agli immigrati, e dall’altro un altro tipo di povertà, che non discende dalla crisi ma di cui comunque sopporta il peso: sono uomini e donne tra i 55 e i 65 anni, che hanno alle spalle una carriera di lavoro precario e non accedono o ancora non hanno accesso al sistema previdenziale. A loro sono dedicate le preghiere dell’arcivescovo, sono loro i disperati senza pane né speranze.
(di Alessio Fanuzzi da il Mattino)
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