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Una campagna per definire un confine più chiaro tra lavoro dipendente e lavoro a collaborazione
(da Aesse 10 2009)
Ridisegnare il confine tra lavoro dipendente e lavoro a collaborazione professionale è ormai un ineludibile impegno della politica. Introdotti con la legge Treu del 1997, i contratti di collaborazione coordinata sono stati la prima risposta del legislatore alla spinta del sistema economico che andava rapidamente trasformandosi per effetto della globalizzazione. Le modifiche portate con la legge Biagi hanno solo in parte migliorato la situazione. Il mercato privato e le pubbliche amministrazioni hanno sospinto questo istituto contrattuale oltre i confini assegnati: con il risultato che questa platea di lavoratori ha avuto inserimenti lavorativi talora non coerenti con lo spirito e le lettera della norma perché molto più configurabili come prestazione di lavoro dipendente che come contratto a progetto. Ed anche quando questa fattispecie non fosse ricorsa, ci si è spesso trovati di fronte a proroghe continue che snaturavano la temporaneità di ogni ragionevole progetto aziendale. È accaduto quel che si poteva forse prevedere fin dall’inizio: su una piccola platea di lavoratori si è abbattuta la fortissima richiesta di flessibilità che il mercato stava esprimendo. Già l’introduzione del lavoro interinale, con i significativi numeri che in pochi anni sono stati raggiunti, doveva suonare come un campanello d’allarme, avendo mostrato tendenze analoghe. Con i contratti a collaborazione alle imprese si sta concedendo – oltre al beneficio di poter gestire la flessibilità – di pagare i contributi Inps quasi dieci punti in meno del lavoro dipendente. Condizione questa che, se non viene rapidamente corretta, rischia di generare un pesante deficit nel futuro trattamento pensionistico di decine di migliaia di lavoratori. Certo, non per questo i contratti a progetto possono essere identificati con il precariato, ma il protrarsi nel tempo, e oltre ogni ragionevole previsione, di molte di queste forme contrattuali acclara inesorabilmente che il problema sussiste. Tra gli obiettivi che le Acli si sono date con la campagna autunnale Verso lo statuto dei lavori c’è proprio quello di definire un più chiaro confine tra lavoro dipendente e lavoro a collaborazione, proponendo un medesimo inquadramento contrattuale per tutti i neoassunti. L’introduzione di tutele crescenti con la stabilizzazione al sesto anno di anzianità aziendale per tutto il lavoro dipendente e la fissazione di una aliquota contributiva unica del 30% per tutti i contratti, compresi quelli a collaborazione, sono i due capisaldi di questa proposta. Le Acli vogliono oggi rappresentare quei lavoratori che sono meno tutelati e che hanno una forte incertezza su proprio futuro. Sono prevalentemente giovani, donne, immigrati regolari, che ancor prima di essere difesi chiedono di poter contare. Alle sedi provinciali e ai circoli viene chiesto di raccogliere centomila firme a sostegno della petizione. Sapendo che centomila firme sono centomila persone che ascolteranno e discuteranno le nostra proposta. |
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