E dunque pare che gli ateobus non circoleranno per le strade di Genova. L’iniziativa dell’Unione Atei e Agnostici Razionalisti, che riprendeva quella della British Humanist Association, non è andata in porto. E, a differenza di Londra e di Barcellona, le città italiane non potranno vedere sulle fiancate dei loro autobus scritte del tipo: “Probabilmente Dio non esiste, smetti di preoccuparti e goditi la vita”, oppure “La cattiva notizia è che Dio non esiste. La buona è che non ne hai bisogno”.
di Marco Guzzi
Che dire? Dobbiamo rallegrarcene? A me personalmente non sembra un evento di grande rilievo, né gli ateobus, né il loro blocco.
In fondo lo slogan degli umanisti atei possiede ancora un contenuto filosofico, si interroga ancora sull’esistenza di Dio, mentre la stragrande maggioranza della comunicazione di massa è talmente atea da non sentire più il minimo bisogno di negare Dio esplicitamente, si fonda sulla pura e semplice assenza di qualsiasi senso o valore.
Tutte le nostre città sono costellate di immagini radicalmente atee, l’idolatria è molto più potente oggi a Roma o a New York, piuttosto che nell’antica Atene visitata da Paolo. Lì almeno gli idoli erano ancora dèi, oggi gli idoli sono gli spiriti più bassi e infami, i padri spirituali dei vizi più stupidi e noiosi, che imbrigliano il desiderio umano nell’orizzonte asfittico del gelatino, dell’automobilina, del vestitino Dolce e Gabbana, o del solito viaggetto alle Maldive, ungendo tutto con l’erotismo più scontato, e sempre al servizio del voracissimo e onnivoro Dio Denaro.
Non ritengo perciò né utile né interessante mettermi a confutare l’ateismo teorico un po’ datato dell’UAAR, limitandomi solo a ricordare ad Odifreddi & Co. che nelle società in cui Dio è stato negato e soppresso dalla coscienza umana, nessuno si è poi goduto molto la vita: dalla Russia stalinista alla Cina di Mao, fino alla Cambogia di Pol Pot.
Credo sia invece molto più interessante chiederci se sia vero che la Chiesa, come sostiene ancora la UAAR, abbia una presenza esorbitante e ingombrante nei mass-media italiani, quando, viceversa, lo stesso Benedetto XVI ha più volte rilevato che la comunicazione di massa favorisce il diffondersi di una mentalità senza Dio.
Ma insomma come stanno per davvero le cose: c’è troppa Chiesa nei mass-media, oppure in essi c’è troppo ateismo? Oppure le due cose paradossalmente sono vere entrambe?
Non c’è dubbio che la Chiesa abbia un notevole spazio nelle televisioni e nei quotidiani italiani. Ogni giorno veniamo informati su ciò che dice il Papa, sui suoi viaggi, sui suoi incontri internazionali. Ogni giorno l’opinione della Chiesa sulle questioni di bioetica e di morale sessuale, sul valore della famiglia o sugli immigrati, viene discussa e valutata. Ogni giorno nuovi politici ci informano della loro militanza cattolica, del loro perfetto allinearsi con le opinioni del Papa. Siamo di fatto un popolo che si definisce ancora per circa l’85% cattolico. E di questo fatto dovrebbero tenerne conto anche gli aderenti all’UAAR, quando parlano dello scarso spazio attribuito al pensiero ateo e agnostico: esso, in realtà, sembrerebbe essere circoscritto ad una esigua minoranza in Italia (circa un 10% della popolazione), e quindi è ovvio che abbia anche spazi proporzionali negli scenari mass-mediologici.
Eppure è altrettanto evidente a tutti ciò di cui si lamentava Benedetto XVI nella visita ad limina dei vescovi di Panama il 19 settembre del 2008, e cioè che la comunicazione di massa diffonde una visione della vita molto più atea delle ingenue frasi ottocentesche dell’UAAR. I programmoni della De Filippi, con le loro risse costruite sulla pelle di giovani ossessionati dalla visibilità e dal successo; le competizioni sul numero di seno che occupano intere giornate del Grande Fratello, diffondendo modelli deleteri tra le ragazze, già pronte a “regalarsi un seno taglia sesta” per la maturità; ma anche il linguaggio tutto economicistico e aggressivo di Ballarò, di Anno Zero, o l’ossequio un po’ untuoso per tutti i potenti del mondo di Porta a Porta, e così via: tutto questo clima, direi, di volgarità sovrana è infinitamente più ateo delle battute ancora scolastiche, liceali direi, sull’esistenza di Dio.
E dobbiamo dirci con chiarezza che questo clima da ultime ore di Pompei, che alterna catastrofi e varietà nel grande Blob televisivo, non viene affatto disturbato dalla visibilità del Papa, né dalle professioni di cattolicità della maggioranza dei politici italiani. Le due cose anzi vanno perfettamente insieme. Come risulta evidente dagli ultimi 20 anni. E allora?
Io credo che dovremmo andare al cuore della questione del rapporto tra evangelizzazione e mass-media. Dobbiamo comprendere che l’ateismo concreto di quasi tutta la Tv, come di tutta la pubblicità, lo confutiamo soltanto su un piano poetico, e non moralistico. La battaglia contro il puro non senso la vinceremo solo comunicando con forza televisiva, radiofonica, e telematica, ciò che di divino, di nobile, di straordinario, e di aperto all’infinito, c’è nell’essere umano. Dobbiamo, in altri termini, semplicemente ideare programmi, film, talk show, che dicano con forza, con maggior forza rispetto alle produzioni del nulla, e con la forza poetica delle immagini, dei suoni, della regia, della fotografia, delle parole, dei dialoghi, la grandezza del mistero umano, la dignità della nostra vocazione alla bellezza, alla bontà, alla verità, e le straordinarie opportunità evolutive del nostro tempo.
Il problema è cioè di cultura, di linguaggio, di creatività. E dovremmo allora chiederci: ma come mai un paese tanto cattolico, e con una presenza così pervasiva della Chiesa, non riesce a produrre quasi niente di convincente, di creativamente nuovo ed efficace, di spiritualmente potente sul piano delle programmazioni radio-televisive? Come mai tutti questi dirigenti della RAI, spesso cattolici, non riescono a tirar fuori un solo programma culturale innovativo e che non faccia morire di noia? Come mai questo popolo italiano, così disposto a dichiararsi al seguito di Santa Romana Chiesa, si affolla poi in quasi 9 milioni davanti a spettacoli come il Grande Fratello o X Factor? Come mai in Italia non c’è ancora nemmeno un quotidiano nazionale di ispirazione cristiana, all’altezza del Corriere o di Repubblica? Dove sono i programmisti, i registi, i poeti, i filosofi, i giornalisti che sappiano rendere di nuovo il cristianesimo l’avanguardia poetica dell’umanità? E come possiamo svilupparne la crescita? Insomma come si può far fiorire una nuova creatività cristiana?
Queste mi sembrano domande davvero interessanti e mordenti, e non le periodiche marachelle dell’UAAR o le rituali indignazioni che ne seguono.
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