Grande è la confusione sotto il cielo dei nostri Beni Culturali. Le polemiche di questi giorni hanno messo al centro dell'attenzione il destino di importanti strutture museali, ma hanno disvelato una solida e diffusa ignoranza della materia, anche in persone insospettabili e con certi gradi di responsabilità. E' dunque il caso di fare un po' d'ordine, perché i cittadini sappiano di cosa stiamo parlando. Partendo dai problemi principali che mettono alle corde il settore, le competenze e i soldi, per parlare - infine - del futuro possibile.
1) Le competenze. I Beni Culturali sono nelle mani dello Stato, che ne esercita la tutela attraverso le Soprintendenze. I Soprintendenti vivono in eterna attesa della riforma del Ministero, che i diversi governi promettono e realizzano a pezzi, secondo le proprie convenienze. In assenza di soldi (vedi al punto 2), le novità si limitano a giostre di nomine, che lasciano comunque inalterati i poteri delle due grandi corporazioni del ministero: i sindacati e, appunto, le Soprintendenze. Conseguenza concreta dei balletti: da quando sono assessore (nove mesi), ho già conosciuto due direttori regionali dei Beni culturali, e penso che ne conoscerò un terzo di qui a un po'. Insomma, un caos scandaloso. Ora speriamo nel "supermanager" per i Beni Culturali, annunciato dal ministro Bondi. E' una novità vera: ma l'impatto con i "superconservatori" del Collegio Romano sarà duro.
I nostri Enti locali non hanno responsabilità gestionali nel campo dei Beni culturali, salvo che per i musei di proprietà (il Madre, Castelnuovo, altri minori). I cittadini non lo sanno, ma quando ci si lamenta per la sporcizia delle latrine agli scavi di Cuma, quando Capodimonte chiude perché non ci sono i soldi per gli straordinari, sotto accusa è - ed è giusto che sia - lo Stato, che in questi modi tradisce e offende il suo straordinario patrimonio. E anche quando si commissaria Pompei - nessuno lo dimentichi - è sempre lo Stato che commissaria se stesso. Tanto per capirci.
2) I soldi. Se ci fossero, tutto sarebbe più semplice: sarebbero sopportabili e governabili caos organizzativo e poteri corporativi. Ma non è così: le cifre che l'Italia destina al suo patrimonio culturale sono spiccioli. Non bastano neppure a pagare gli stipendi. Anche nel resto del mondo è difficile reperire risorse per i Beni culturali o i Musei: per questo, dovunque, si favorisce l'apporto di capitali privati, attraverso forme di defiscalizzazione per chi investe o sponsorizza, attraverso la gestione di attività di supporto, di marketing e merchandising. Dovunque, tranne che in Italia, dove la legislazione è vecchia e vincolistica, e dove le corporazioni di cui sopra impediscono in tutti i modi l'ingresso di attività private nella gestione dei Beni Culturali: ne deriverebbe una perdita netta del loro potere.
E dunque, a proposito di soldi, al povero Cicelyn non andrebbe rimproverata la "Madrenalina" settimanale, ma bisognerebbe chiedere ulteriori attività di supporto agli scarsi introiti del Madre, proprio come fanno tutti i musei del mondo, che se ne inventano di tutti i colori pur di sopravvivere.
3) Il futuro. In questo quadro, la Regione per molti anni ha supplito al disastro nazionale, finanziando massicciamente restauri e ristrutturazioni, addirittura arrivando a pagare gli straordinari ai dipendenti statali, pur di evitare le chiusure dei musei minacciate in date cruciali dai ricatti sindacali. Un'attività generosa e lodevole, ma dai risultati dubbi. Perché, una volta compiuti restauri e interventi conservativi, siti e musei vanno gestiti: cosa impossibile, per i motivi esposti. Così, ci ritroviamo periodicamente ad inaugurare splendidi recuperi, nuovi siti archeologici, ambienti museali ristrutturati, che, dopo qualche mese, chiudono per assenza di denari o personale. O di entrambi.
Con il ciclo di investimenti 2007-2013, abbiamo deciso un chiaro cambio di passo e di strategia. Finanzieremo solo completamenti di restauri in atto, e destineremo il grosso delle risorse alla valorizzazione, alla promozione e, lì dove ce lo consentiranno, alla gestione dei Beni Culturali della regione. Che vuol dire migliorare l'aspetto dei siti, attrezzare percorsi, creare adeguate strategie di marketing e comunicazione, intercettare - in dosi massicce - sponsorship e interventi finanziari privati. Lo faremo non appena il Ministero dei Beni Culturali si deciderà a firmare (ah, le lentezze ministeriali...) l'accordo che prevede il passaggio alla Regione della gestione di una parte del nostro patrimonio (i Campi Flegrei, la Certosa di Capri, parti degli scavi di Pompei, etc...). Da quel momento saranno più chiare le responsabilità di ognuno, nessuno potrà accampare scuse se le cose non funzioneranno, e soprattutto i cittadini sapranno chi ringraziare o con chi prendersela per l'andamento delle cose, in questo disgraziato e meraviglioso settore.
Claudio Velardi
1 commento:
Si, probabilmente lo e
Posta un commento