AUGUSTO MINZOLINI
Nel Transatlantico di Montecitorio Gianni De Michelis, socialista con buone entrature al Quirinale, che all’insegna dell’unità del nuovo psi è tornato nel centrosinistra, è arcisicuro. «Ormai per il governo è finita - spiega -, siamo agli ultimi giorni di Pompei. Domani chiederò ai nostri di uscire dal governo nazionale e da quello campano. Bassolino doveva dimettersi una settimana fa, invece ha dimostrato non solo di non avere il senso dello Stato ma neppure il buonsenso. Per Berlusconi questo dovrebbe essere il momento per lanciare il governo di grande coalizione. L’ho detto ieri a Confalonieri: “Digli di non pensare alla figa e di lanciare questa proposta. Si faccia o meno, lui ne uscirà comunque come un gigante”».
Lo scandalo rifiuti, le contestazioni al Papa, tre quarti del partito di Clemente Mastella agli arresti domiciliari, l’intesa sulla legge elettorale che salta e sullo sfondo i referendum. Tante botte, una più forte dell’altra. Forse troppe anche per un equilibrista come Romano Prodi. Il filo su cui si regge il governo questa volta potrebbe spezzarsi. Di nuovo si parla di ultimi giorni per il Professore. E i segnali ci sono tutti. A quanto pare Giorgio Napolitano ha addirittura storto il naso sull’idea che il premier assumesse l’interim alla Giustizia. E comunque non vuole che vada avanti per troppo tempo. Solo che Prodi, a sentire i veltroniani, non ha potuto affidarlo neppure al fido Giulio Santagata, il quale cortesemente ha declinato. Il poveretto non se l’è sentita di ficcarsi in quell’alveare impazzito che è il ministero di via Arenula mentre governo e maggioranza sono in bilico.
Eh sì, perché anche se il Professore si mostra tranquillo in pubblico il dibattito sul «dopo Prodi» è tornato di moda. Certo il premier pensa ancora di durare a lungo. E’ convinto che in un modo o nell’altro riuscirà a cavarsela anche questa volta. Napolitano ieri nell’incontro al Quirinale con il premier si è limitato ad annuire. Lo stesso ha fatto Walter Veltroni a cui Prodi ha preannunciato quello che avrebbe fatto. Ma in tutti e due i colloqui si è parlato molto della tesi delle «mani libere», tirata fuori dagli armadi della prima Repubblica da Lamberto Dini e ora ripresa anche da Clemente Mastella. Insomma, il premier non ha più quella polizza di assicurazione che aveva con Mastella dentro il governo. A questo punto ogni giorno per la crisi potrebbe essere buono. A cominciare dal dibattito sulla mozione di sfiducia contro il ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio che si discuterà il 23 gennaio al Senato. A ben vedere il Professore ha una speranza e un unico punto di forza che ripete ai suoi un giorno sì e un altro pure: «Non ho alternative. Chi mi vuol far cadere deve sapere che dopo di me ci sono solo le elezioni».
Solo che, gira che ti rigira, una soluzione gli altri potrebbero anche trovarla. O, magari, per disimpegnarsi da questo camposanto in cui si è trasformata l’Unione, il club delle mani libere o una parte di esso, Mastella o Dini, prima o poi, per una ragione o l’altra, potrebbero passare armi e bagagli con il Cavaliere e aprire la strada al voto. Negli ultimi due giorni Berlusconi ha avuto colloqui con entrambi. Che il governo sia tornato sull’orlo del precipizio lo dimostra un altro segnale inequivocabile: nei Palazzi romani si è tornato a parlare di «dopo-Prodi». Napolitano è tornato a lanciare segnali: farò di tutto - è tornato a far sapere il Capo dello Stato - per evitare che si voti con l’attuale legge elettorale. Berlusconi, invece, che pensa di avere il vento a favore, è tornato a puntare alle elezioni. «Io - ha spiegato ieri ai suoi - non penso a un governo di transizione perché per noi l’opzione ottimale è andare al voto con Prodi a Palazzo Chigi. Non voglio rompere il dialogo con Veltroni, ma gli ho detto che per continuare bisogna tornare a un impianto più maggioritario, a una legge tipo il Vassallum. Altrimenti puntiamo verso il referendum e vediamo se Rifondazione se la sentirà di affrontarlo o se farà saltare il tavolo del governo per evitarlo portandoci direttamente al voto anticipato».
Appunto, Fausto Bertinotti. Dal Sud America il leader di Rifondazione continua a lanciare segnali preoccupanti per Prodi. «Se non si fa la legge elettorale - ha fatto presente - e si va verso il referendum per noi cambia la fase politica. Potremmo anche assumere decisioni traumatiche». E Veltroni? Sul governo continua a intonare lamenti impotenti: «Certo questa palude non ci piace, ma non possiamo essere noi a farlo cadere». Sulla legge elettorale ha invece una posizione che echeggia quella di Berlusconi. «O si va verso uno schema - racconta uno dei dirigenti a lui più vicino - più maggioritario, o per noi va bene il referendum». Un esito che uno degli esperti del leader del Pd, Stefano Ceccanti, dà quasi per scontato: «Ora avremo un po’ di fuffa ma poi andremo al referendum».
Cos’è la «fuffa»? Gli ultimi tentativi di arrivare a una legge. Ieri gli uomini di Bertinotti prima hanno ipotizzato di andare avanti sulla «bozza Bianco» senza il Cavaliere. Un’operazione difficile visto che Berlusconi sa per certo che né la Lega, né An si faranno coinvolgere. Poi Enzo Bianco, l’inventore della «bozza», gli ha spiegato che senza un'iniezione di maggioritario l’intesa è impossibile. Ma anche questo è un tentativo difficile. Bertinotti stringendo i denti potrebbe decidere di percorrere una strada del genere, ma nel percorso potrebbe scendere dal treno dell’accordo Casini e non salirci Fini. Inoltre più i tempi stringono e più le cose si complicano. E con un governo che ogni giorno prende una botta, che precipita nei sondaggi, e con il referendum che incombe potrebbe scattare l’ora del si salvi chi può. Mastella o Dini potrebbero ascoltare le sirene berlusconiane. Oppure Bertinotti potrebbe decidere che non vale la pena di andare a un referendum elettorale che potrebbe uccidere Rifondazione solo per sostenere un governo impopolare. «Se non si evita il referendum - diceva ieri il sottosegretario neo-comunista all’Economia Alfonso Gianni - noi facciamo saltare tutto».
Lo scandalo rifiuti, le contestazioni al Papa, tre quarti del partito di Clemente Mastella agli arresti domiciliari, l’intesa sulla legge elettorale che salta e sullo sfondo i referendum. Tante botte, una più forte dell’altra. Forse troppe anche per un equilibrista come Romano Prodi. Il filo su cui si regge il governo questa volta potrebbe spezzarsi. Di nuovo si parla di ultimi giorni per il Professore. E i segnali ci sono tutti. A quanto pare Giorgio Napolitano ha addirittura storto il naso sull’idea che il premier assumesse l’interim alla Giustizia. E comunque non vuole che vada avanti per troppo tempo. Solo che Prodi, a sentire i veltroniani, non ha potuto affidarlo neppure al fido Giulio Santagata, il quale cortesemente ha declinato. Il poveretto non se l’è sentita di ficcarsi in quell’alveare impazzito che è il ministero di via Arenula mentre governo e maggioranza sono in bilico.
Eh sì, perché anche se il Professore si mostra tranquillo in pubblico il dibattito sul «dopo Prodi» è tornato di moda. Certo il premier pensa ancora di durare a lungo. E’ convinto che in un modo o nell’altro riuscirà a cavarsela anche questa volta. Napolitano ieri nell’incontro al Quirinale con il premier si è limitato ad annuire. Lo stesso ha fatto Walter Veltroni a cui Prodi ha preannunciato quello che avrebbe fatto. Ma in tutti e due i colloqui si è parlato molto della tesi delle «mani libere», tirata fuori dagli armadi della prima Repubblica da Lamberto Dini e ora ripresa anche da Clemente Mastella. Insomma, il premier non ha più quella polizza di assicurazione che aveva con Mastella dentro il governo. A questo punto ogni giorno per la crisi potrebbe essere buono. A cominciare dal dibattito sulla mozione di sfiducia contro il ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio che si discuterà il 23 gennaio al Senato. A ben vedere il Professore ha una speranza e un unico punto di forza che ripete ai suoi un giorno sì e un altro pure: «Non ho alternative. Chi mi vuol far cadere deve sapere che dopo di me ci sono solo le elezioni».
Solo che, gira che ti rigira, una soluzione gli altri potrebbero anche trovarla. O, magari, per disimpegnarsi da questo camposanto in cui si è trasformata l’Unione, il club delle mani libere o una parte di esso, Mastella o Dini, prima o poi, per una ragione o l’altra, potrebbero passare armi e bagagli con il Cavaliere e aprire la strada al voto. Negli ultimi due giorni Berlusconi ha avuto colloqui con entrambi. Che il governo sia tornato sull’orlo del precipizio lo dimostra un altro segnale inequivocabile: nei Palazzi romani si è tornato a parlare di «dopo-Prodi». Napolitano è tornato a lanciare segnali: farò di tutto - è tornato a far sapere il Capo dello Stato - per evitare che si voti con l’attuale legge elettorale. Berlusconi, invece, che pensa di avere il vento a favore, è tornato a puntare alle elezioni. «Io - ha spiegato ieri ai suoi - non penso a un governo di transizione perché per noi l’opzione ottimale è andare al voto con Prodi a Palazzo Chigi. Non voglio rompere il dialogo con Veltroni, ma gli ho detto che per continuare bisogna tornare a un impianto più maggioritario, a una legge tipo il Vassallum. Altrimenti puntiamo verso il referendum e vediamo se Rifondazione se la sentirà di affrontarlo o se farà saltare il tavolo del governo per evitarlo portandoci direttamente al voto anticipato».
Appunto, Fausto Bertinotti. Dal Sud America il leader di Rifondazione continua a lanciare segnali preoccupanti per Prodi. «Se non si fa la legge elettorale - ha fatto presente - e si va verso il referendum per noi cambia la fase politica. Potremmo anche assumere decisioni traumatiche». E Veltroni? Sul governo continua a intonare lamenti impotenti: «Certo questa palude non ci piace, ma non possiamo essere noi a farlo cadere». Sulla legge elettorale ha invece una posizione che echeggia quella di Berlusconi. «O si va verso uno schema - racconta uno dei dirigenti a lui più vicino - più maggioritario, o per noi va bene il referendum». Un esito che uno degli esperti del leader del Pd, Stefano Ceccanti, dà quasi per scontato: «Ora avremo un po’ di fuffa ma poi andremo al referendum».
Cos’è la «fuffa»? Gli ultimi tentativi di arrivare a una legge. Ieri gli uomini di Bertinotti prima hanno ipotizzato di andare avanti sulla «bozza Bianco» senza il Cavaliere. Un’operazione difficile visto che Berlusconi sa per certo che né la Lega, né An si faranno coinvolgere. Poi Enzo Bianco, l’inventore della «bozza», gli ha spiegato che senza un'iniezione di maggioritario l’intesa è impossibile. Ma anche questo è un tentativo difficile. Bertinotti stringendo i denti potrebbe decidere di percorrere una strada del genere, ma nel percorso potrebbe scendere dal treno dell’accordo Casini e non salirci Fini. Inoltre più i tempi stringono e più le cose si complicano. E con un governo che ogni giorno prende una botta, che precipita nei sondaggi, e con il referendum che incombe potrebbe scattare l’ora del si salvi chi può. Mastella o Dini potrebbero ascoltare le sirene berlusconiane. Oppure Bertinotti potrebbe decidere che non vale la pena di andare a un referendum elettorale che potrebbe uccidere Rifondazione solo per sostenere un governo impopolare. «Se non si evita il referendum - diceva ieri il sottosegretario neo-comunista all’Economia Alfonso Gianni - noi facciamo saltare tutto».
3 commenti:
La ringrazio per Blog intiresny
quello che stavo cercando, grazie
Perche non:)
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