domenica, settembre 16, 2007

Il cambiamento climatico, di destra o di sinistra, è sempre più un "affare"

Il cambiamento climatico è una realtà ed è un aspetto significativo della
variabilità ambientale naturale. Solo per l'uomo moderno tecnologico è una
novità. Per l'umanità no! Inconfutabili dati scientifici evidenziano che,
naturalmente, negli ultimi millenni si è verificato un cambiamento simile con
ciclicità millenaria.
L'inquinamento dell'atmosfera e dell'ambiente è una realtà. Per l'uomo moderno
tecnologico e per l'umanità è una novità. Mai prima d'ora si era registrato un
inquinamento dell'atmosfera di simile entità.
La storia del clima e dell'ambiente
Gli archivi naturali evidenziano che in passato le concentrazioni di gas tipo
CO2, metano ecc. hanno avuto sensibili variazioni naturali, aumentando nei
periodi con clima anche più caldo dell'attuale.
I cambiamenti del clima e dell'ambiente, in natura, si sono sempre verificati in
assenza di inquinamento ambientale antropogenico.
Gli archivi naturali integrati presenti nell'Area Mediterranea hanno consentito
di ricostruire la storia del clima e dell'ambiente delle ultime migliaia di
anni, come già evidenziato in Convegni internazionali organizzati a partire dal
1993 presso il Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali di Ravello. I
cambiamenti climatici anche più intensi dell'attuale si sono verificati su
scala millenaria, naturalmente e senza l'inquinamento atmosferico
antropogenico. La durata dei periodi caldi degli ultimi millenni è stata di
circa 150-200 anni. Questi ultimi sono correlabili con le variazioni di
attività solare su scala multisecolare ed in particolare con un accentuato
incremento delle macchie solari su scala plurisecolare.
L'attuale periodo di cambiamento climatico si sta instaurando secondo la
naturale ciclicità millenaria e si sta sovrapponendo ad un crescente
inquinamento antropogenico dell'atmosfera.
Il cambiamento climatico, quindi si svilupperà naturalmente, in relazione
all'attività solare, come accaduto 1000 anni fa. L'ambiente sarà interessato da
modificazioni rapide, diversificate in relazione alle attuali condizioni
climatiche connesse alla latitudine e alla orografia.
Indipendentemente dalle attività umane, le popolazioni dovranno, comunque,
adattarsi alle nuove condizioni climatico-ambientali.
Vanno attuate azioni tese a mitigare l'inquinamento atmosferico e ambientale in
generale, essendo coscienti che il cambiamento climatico-ambientale non può
essere contrastato. Sagge azioni devono essere individuate e attuate per
mitigare i danni all'ambiente antropizzato.
Tale conclusione, strettamente connessa ai dati scientifici multidisciplinari,
alla storia ambientale e alle previsioni delle modificazioni del prossimo
futuro, dovrebbe essere individuata come una pragmatica posizione di
"sinistra". Invece coloro che sostengono tali tesi sono marchiati di
reazionarismo, di essere al servizio degli inquinatori del globo e di favorire
l'ulteriore accentuazione della variazione climatica fornendo giustificazioni
addomesticate (cambiamento climatico ciclico e naturale).
In base ai dati climatici strumentali che coprono gli ultimi 150 anni di storia,
senza conoscere la storia del clima e dell'ambiente nelle ultime migliaia di
anni, i ricercatori raggruppati nell'IPCC, ai quali fanno acritico riferimento
i tecnici e funzionari dell'attuale Ministro dell'Ambiente che hanno preparato
la recente conferenza sui cambiamenti climatici del 12 e 13 settembre c.a.,
sono giunti alla conclusione che molto probabilmente il cambiamento climatico
attuale è provocato dall'inquinamento antropogenico dell'atmosfera. Tale
versione, autoreferenziata e non scaturita e validata da un confronto
scientifico internazionale multidisciplinare, è stata ampiamente lanciata nei
mass media con una vera e propria campagna pubblicitaria promozionale che ha
imposto una versione monocromatica della causa del cambiamento
climatico-ambientale. I governi di molte nazioni assumono, ormai, ufficialmente
che l'uomo sia la causa del cambiamento climatico. Quindi, per contrastare i
cambiamenti ambientali si deve intervenire sulle attività umane. Bisogna
ridurre la produzione di gas ad effetto serra. Come?
Ad esempio introducendo l'uso di biocarburanti per consumare meno combustibili
fossili.
Ecco come l'attenzione globale si è spostata, dagli interventi tesi a mitigare i
danni ambientali nelle aree che saranno più interessate dal cambiamento
climatico, sulle attività industriali che sono la fonte principale delle
emissioni di gas ad effetto serra con la propagandata presunzione di poter così
contrastare il cambiamento climatico (e non di contenere l'inquinamento
ambientale).
Gli interventi da attuare nel prossimo futuro, conseguentemente, sono previsti
nelle aree più industrializzate e causa prima delle emissioni inquinanti (che
avrebbero provocato danni a tutto il pianeta). Tali interventi devono essere
sostenuti anche dalla neocolonizzazione di aree poco sviluppate dal punto di
vista socio-economico, che sarebbero assoggettate per produrre i biocarburanti
necessari per ridurre le emissioni in atmosfera. In tal modo si crea una
competizione nell'uso del suolo nelle aree povere. Le foreste e le aree già
coltivate saranno progressivamente adibite alla produzione di biomassa per i
biocarburanti che saranno sempre più usati nei paesi ricchi.
Tale conclusione, strettamente connessa agli interessi economici dei paesi
ricchi a scapito dei paesi poco sviluppati, dovrebbe essere individuata come
una pragmatica posizione di "destra". Invece su tali tesi si trovano schierati
i partiti progressisti e quelli ambientalisti accanto ai neocolonialisti; per
ignoranza, disinformazione, speculazione economica, interessi vari, sono
sponsorizzati i biocarburanti, indiscriminatamente, sia dalle multinazionali
che si stanno accaparrando l'esclusiva della produzione di biomasse nei paesi
poveri che da coloro che dovrebbero essere i "progressisti" europei. Secondo
Fidel Castro tale politica neocoloniale provocherà la scomparsa prematura di
alcuni miliardi di abitanti delle aree povere.
Si ricorda che a gennaio in Messico è scoppiata la rivolta delle tortillas
poichè l'aumento della domanda del mais per la produzione di biocarburante ha
fatto aumentare vertiginosamente i prezzi al mercato da sette pesos al chilo,
l'equivalente di 50 centesimi di euro, a oltre 18. Ciò ha causato
manifestazioni di piazza da parte del popolo affamato.
Aumentano i dubbi sull'effettiva utilità dei biocarburanti, preparati con oli
vegetali, colze, girasoli e frumento.
Anche gli economisti dell'OCSE si stanno convincendo che il ricorso ai
biocarburanti è quanto mai pericoloso perché determina un immediato aumento dei
prezzi degli alimentari. L'offerta dei biocarburanti viene sovvenzionata e
sostenuta con sussidi pubblici dati agli agricoltori, invogliati a orientare e
a vendere in blocco le loro produzioni su questo nuovo mercato dei
biocombustibili; ciò determina effetti indesiderati ma prevedibili come
l'aumento dei prezzi per la produzione di alimenti. Altro effetto negativo è
rappresentato dalla riduzione della biodiversità con forti spinte a sostituire
gli ecosistemi naturali, come le foreste e i terreni da pascolo, con le colture
utili all'industria dei biocarburanti. Il così detto carburante alternativo,
che in Europa vale circa l'1% dei consumi totali con la punta del 3,75% in
Germania e del 2,23% circa in Svezia, secondo l'Ocse, al massimo può portare a
un calo del 3% delle emissioni di gas che provocano l'effetto serra. Il
vantaggio economico per i cittadini è quanto mai ambiguo dal momento che un
pieno di biocarburante viene a costare al consumatore quanto un pieno normale
solo perché la produzione è sostenuta a monte da sussidi pubblici ai
coltivatori e in parte viene caricata sulle spalle dell'industria petrolifera,
che almeno in Europa viene obbligata da una direttiva comunitaria a comprare
quote crescenti di biocarburanti da miscelare ai carburanti convenzionali.
E' evidente che i governi nazionali che incentivano la produzione di
biocarburanti non agiscono per favorire i cittadini ma per incrementare i
guadagni di gruppi industriali lobbistici internazionali.
Si deve constatare che la costosa campagna pubblicitaria che da qualche anno,
monopolisticamente, cerca di inculcare nella popolazione la convinzione che
l'uomo è l'unica causa del cambiamento climatico e delle catastrofi ambientali
che saranno ad esso connesse, vera e propria televendita ben sponsorizzata e
sostenuta economicamente, ha ottenuto un risultato che, se perseguito
acriticamente, porterà ulteriore ricchezza nei paesi industrializzati e sempre
più povertà nelle aree poco sviluppate del globo. Provocherà, con la
progressiva sottrazione di aree all'agricoltura per la produzione di cibo e la
distruzione delle foreste per produrre biomassa, un incremento delle emissioni
nocive in atmosfera e non mitigherà gli impatti ambientali del cambiamento
climatico nelle aree che, come 1000 anni fa, più saranno interessate.
Cosa fare?
Prima di tutto va immediatamente promosso un dibattito scientifico
multidisciplinare istituzionale internazionale, che finora è sempre stato
contrastato dalla lobby che sponsorizza l'IPCC e da coloro che vedono nel
cambiamento climatico una concreta possibilità di trarre vantaggi di vario
tipo.
Le conclusioni dell'IPCC non hanno basi scientificamente valide in quanto si
basano solo su dati climatici degli ultimi 150 anni; la storia del clima delle
ultime migliaia di anni non esiste per l'IPCC. La storia delle relazioni tra
attività solare e clima delle ultime migliaia di anni, evidenziata dai più
validi fisici solari internazionali, per l'IPCC non esiste. Per l'IPCC esiste
solo l'inquinamento atmosferico connesso alle attività antropiche degli ultimi
150 anni.
Scientificamente parlando, le conclusioni dell'IPCC non sono altro che un
edificio senza fondazioni. Il clima senza un passato non può fornire
indicazioni scientificamente valide per prevedere il futuro e tanto meno per
individuare le cause reali dei cambiamenti.
Dal punto di vista commerciale, le conclusioni dell'IPCC, per i paesi ricchi,
aprono la strada ad un neocolonialismo sfrenato e all'ulteriore degrado
socio-economico ed ambientale globale delle aree povere.
Va detto chiaramente che grazie alla efficace e interessata sponsorizzazione i
risultati dell'IPCC, scientificamente banali, si sono trasformati, per legge e
non per meriti scientifici, in verità scientifica.
L'applicazione del protocollo di Kioto va vista come attuazione di misure tese a
ridurre l'inquinamento atmosferico e non come modo per combattere il
cambiamento climatico.
Nelle aree povere dove il cambiamento climatico avrà significativi impatti
negativi e dove circa 3 miliardi di persone non hanno ancora accesso all'acqua
potabile, invece di sconvolgenti interventi neocoloniali, andrebbero attuate
misure efficaci per adattare l'ambiente alle nuove condizioni climatiche che si
intensificheranno nel prossimo secolo.
L'Europa finora si è accodata acriticamente e passivamente alla politica
neocoloniale imposta dagli sponsor dell'IPCC.
L'Europa corre il rischio di applicare misure neocoloniali anche tra i suoi
paesi membri in seguito ad una acritica promozione e facilitazione della
produzione di biomassa che andrà a scapito delle qualificate produzioni
agricole mediterranee.
Nel prossimo futuro i paesi del Mediterraneo, come accadde 1000 anni fa, saranno
interessati dalla desertificazione delle zone costiere fino a circa 41° di
latitudine e dai più marcati cambiamenti ambientali che incideranno
significativamente sull'economia e sicurezza ambientale.
Questa estate nell'Italia meridionale si è assistito ad una prova di
desertificazione testimoniata dalle ripetute invasioni aria calda merdionale
che ha determinato prolungati incrementi delle temperature che hanno seriamente
danneggiato migliaia di ettari di boschi (querceti) provocando l'essiccazione
delle foglie favorendo anche la diffusione degli incendi dolosi.
Non può sfuggire a coloro che hanno responsabilità nel governo delle istituzioni
pubbliche che proprio nell'Italia meridionale devono essere adottate concrete
misure ambientali per la difesa delle risorse naturali, idonee a contenere i
danni connessi al cambiamento climatico, e non misure tese ad avvantaggiare le
attività industriali prevalentemente della parte centrosettentrionale
dell'Europa che, come 1000 anni fa, sarà climaticamente favorita dalle nuove
condizioni.

Prof. Franco Ortolani
Ordinario di Geologia
Direttore del Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio
Università di Napoli Federico II

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