lunedì, maggio 07, 2007

La credibilità dell'impolitico. Se Beppe Grillo e Gino Strada si sostituiscono alla politica.

Beppe Grillo è stato uno dei comici di maggior successo della scuderia di Pippo Baudo ed Antonio Ricci, con grandi successi televisivi negli anni Settanta e Ottanta fino all’incidente della famosa battuta sul Craxi “cinese”. Da lì iniziò la sua seconda vita, quella di un geniale autodidatta della scienza, della politica e dell’economia, di un provocatore globale il cui blog su internet è diventato uno dei più visitati sugli argomenti di maggiore attualità, fino alla clamorosa performance alla assemblea dei soci Telecom dell’aprile scorso, in cui ha messo sotto accusa le strategie manageriali di Tronchetti Provera e soci. Prescindendo dal merito delle questioni, un successo straordinario, che ne fa un opinion-maker di primaria importanza.

Gino Strada, cui mi legano una vecchia amicizia e le comuni origini sestesi, ha preso una rincorsa che dall’Oratorio San Luigi di Sesto San Giovanni lo ha portato non solo a lidi politici ed ideologici più lontani, ma anche a girare il mondo come medico umanitario, al punto che lui e la sua Emergency sono diventati a loro volta un punto di riferimento per una diplomazia informale, come quella che ha salvato la vita a Daniele Mastrogiacomo (ma purtroppo non ai suoi collaboratori).

Né Grillo né Strada sono politici in senso stretto, ed anzi credo che se venisse loro offerta una candidatura al Parlamento o a qualsiasi altro organismo istituzionale la declinerebbero, consci come sono del fatto che la loro vera forza, la loro capacità di impattare ed entro certi limiti orientare la pubblica opinione deriva da quello che fanno, ed un seggio parlamentare per loro sarebbe un impaccio e forse una causa di perdita della credibilità acquisita.

La domanda che si pone a questo punto è se esista veramente uno spazio della politica per i non politici, o più esattamente se vi sia ormai un livello di discredito tale della politique politicienne (ma anche del management affaristico tradizionale) per cui può apparire credibile e giusto che un attore comico che ha studiato da autodidatta si occupi di alta finanza ed un medico chirurgo di diplomazia umanitaria, ambedue assumendo il punto di vista del cittadino comune.

Certo, è sempre in agguato il rischio del qualunquismo, per quanto negli anni scorsi questa categoria sia stata usata impropriamente per mettere a tacere i critici della classe politica: per quel che ne capisco, sono convinto che né Grillo né Strada siano due qualunquisti, e che anzi il loro ruolo di supplenza “politica” loro lo interpretino malvolentieri, e che esso nasca essenzialmente dalla percepita incapacità della politica istituzionale di rispondere a molti problemi sentiti diffusamente da parte dei cittadini.

In effetti, che nel corso di questi anni la politica abbia costruito separatezza ed autoreferenzialità nei confronti dei commoners è abbastanza evidente, quasi che il percorso perverso che portò alla crisi terminale della cosiddetta Prima Repubblica tenda a replicarsi autisticamente in assenza di modelli alternativi.

La legge elettorale fortemente voluta dalla destra nell’autunno del 2005, ma adottata senza troppi problemi anche dal centrosinistra, è stata in questo senso il tassello terminale, poiché ha prodotto un Parlamento completamente nominato dalle segreterie di Partito in cui ai cittadini è stato chiesto unicamente di ratificare decisioni prese altrove, con una recisione del legame fra eletto ed elettore che non ha pari nel resto d’Europa.

La credibilità dell’impolitico è quindi il perfetto pendant della mancanza di credibilità del politico, e la difficoltà a recuperare tale credibilità deriva essenzialmente da quelli che sono i vizi percepiti della classe dirigente a tutti i livelli: la mancanza di corrispondenza fra fatti e parole, l’esplosione delle consulenze e di altre forme di cattivo uso del pubblico denaro, la non linearità di determinate scelte…

È difficile pensare che tale fossato possa colmarsi solo con nuove riforme di sistema, ed anche un fatto a lungo atteso e potenzialmente di grande rilievo come la nascita del Partito democratico rischia di essere inutile se non viene percepito come un atto di discontinuità non solo nei volti (anche se poi le istanze di tipo generazionale non possono essere liquidate con disinvoltura in un Paese che invecchia a vista d’occhio) ma anche nei comportamenti, nei costumi, nell’atteggiamento.

Se dovessi descrivere lo spirito che credo necessario in questa fase, le categorie che mi vengono in mente sono quelle della “amicizia” e della “simpatia”, prendendole nel significato etimologico latino e greco. Una politica che si faccia carico delle persone, soprattutto dei loro bisogni dei loro dolori, delle loro “passioni” nel significato ampio di tale parola.

Probabilmente è un sogno, un’aspirazione che rischia di andare delusa: nello stesso tempo, il rischio vero è che la disaffezione alla politica generi non solo fenomeni tutto sommato positivi come quelli offerti da Grillo e Strada – i quali in definitiva non chiedono niente a nessuno, in termini di consenso politico – ma anche elementi ben più preoccupanti e potenzialmente minacciosi per l’avvenire della democrazia.

Giovanni Bianchi

da Aesse 4 2005 http://www.acli.it)

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