sabato, luglio 15, 2006

Una politica nuova per l' immigrazione

di Luigi Bobba
Non solo sbarchi a Lampedusa, con il sogno che, a volte, si trasforma in dramma quando non in tragedia sul fondo del canale di Sicilia. Non solo polemiche sui Cpt. Non solo emergenza, paura e clandestini.
Finalmente l’immigrazione guardata da un altro punto di vista: quello delle famiglie immigrate che vivono, lavorano, cercano casa, fanno figli qui nel nostro Paese, nelle nostre città.
E’ la fotografia scattata dall’Iref (l’Istituto ricerca collegato alle ACLI) che per la prima volta ha indagato il fenomeno immigrazione con gli occhi della famiglie.
Attraverso le risposte di 1.000 capi famiglia immigrati – il 56% sono coppie con figli, il 35% coppie senza figli , il 9% famiglie monoparentali – emerge un profilo dell’immigrato con tratti del tutto diversi da come certa stampa e certa politica hanno cercato di far entrare nel nostro immaginario.
Sono famiglie giovani – più del 70% hanno meno di 40 anni – ; mediamente colte, cioè con un titolo di studio corrispondente ad un diploma o ad una laurea e circa i 2/3 sono arrivati, in Italia, dopo la Turco-Napolitano, cioè meno di otto anni fa.
Sono famiglie che vengono dai paesi dove si concentra una rilevante pressione migratoria verso l’Italia: nordafricani; slavi, cristiani e musulmani; ispano-cattolici; cinesi; indiano-cingalesi.
Sono venuti in Italia per disperazione, per fermarsi, per ripartire o forse semplicemente per sfuggire ad un destino segnato.
Il 60% circa dice che in Italia vuole rimanerci, che vuole farvi crescere i figli che nel frattempo sono nati o che sono arrivati anche loro dal paese di origine.
Famiglie che nonostante una condizione economica piuttosto precaria, nonostante un’occupazione di livello medio-basso, nonostante una drammatica difficoltà a trovare casa, scommettono sul nostro Paese, sull’Italia. Lo fanno perché hanno voglia di futuro, desiderano dare un futuro migliore ai loro bambini. Sono determinati e tenaci, pronti a superare gli ostacoli tipici di chi si trova a vivere e lavorare in un altro Paese: la lingua, la casa, la burocrazia, l’assistenza sanitaria.
Queste famiglie sono il vero motore dell’integrazione: risorsa formidabile che va ben al di là delle leggi, dei servizi e delle politiche.
E l’Italia che fa? Scommette con chi vuole scommettere sul nostro Paese? Potremmo rispondere: non pochi italiani, sì; il Paese, la politica quasi sempre no. A cominciare dalla Bossi-Fini. Una legge oltre che ingiusta, inutile e irrealistica. Basata sul presupposto scaccia-immigrati, che ha finito per produrre due risultati assolutamente non previsti: la più grande regolarizzazione di cittadini immigrati (quasi 700.000) e la riproduzione della clandestinità grazie alle quote e al principio che il visto di soggiorno è vincolato ad un contratto di lavoro.
La ricerca in proposito ci dà tre dati chiarissimi: gli immigrati giunti con un visto per motivi di lavoro sono quasi gli stessi sia nel periodo in cui era in vigore la Bossi-Fini (25%), sia quando vigeva la Turco-Napoletano (23%). Cioè un fallimento quasi completo del vincolo tra visto di soggiorno e contratto di lavoro.
Secondo la “permissiva” legge Turco-Napolitano ha prodotto una riduzione degli ingressi irregolari (- 7%) quasi del tutto simile alla “restrittiva” Bossi-Fini (- 8%). Ultimo: un terzo di queste famiglie è entrato in Italia in modo irregolare e ora, invece, vive e lavora con regolare permesso di soggiorno e regolare contratto di lavoro.
Nascono tre considerazioni: le leggi, oltrechè giuste, debbono essere efficaci.La Bossi-Fini va cambiata perchè ingiusta ed inefficace. Il Paese – le aziende e le famiglie – ha bisogno di forze di lavoro che altrimenti non sa dove trovare per mandare avanti alcuni settori industriali, diversi comparti agricoli e gran parte del lavoro di cura nelle famiglie, il welfare invisibile.
Infine bisogna mettere mano alla cittadinanza e al diritto di voto alle elezioni amministrative. La cittadinanza automatica per tutti i bambini nati in Italia da genitori stranieri regolarmente residenti; il diritto di voto per chi vive e lavora da noi, da almeno cinque anni, perché - come dichiara quasi il 60% delle famiglie intervistate - questa è una strada per sentirsi un po’ meno stranieri.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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F.